Non ci sono crisi finanziarie globali all’orizzonte. Gli elementi di incertezza sui mercati restano, ma non sono legati alle recenti crisi bancarie, bensì alle eventuali decisioni che potranno adottare i regolatori.
E’ questo in sintesi il messaggio lanciato da Ken Fisher, presidente esecutivo di Fisher Investments, attraverso gli ultimi suoi recenti commenti sulla situazione attuale, pubblicati sul sito del Sole24ore e su alcuni media americani tra cui il New York Post.
“I pessimisti sono convinti che Silicon Valley Bank abbia aperto il vaso di Pandora nel settore bancario americano. Credit Suisse ha esteso questi timori a livello globale. Ma Svb era un caso a sé. Quasi tutti i suoi clienti erano società locali di venture capital in campo tecnologico, le loro start up e i loro dipendenti. Deteneva un’enorme quantità di obbligazioni a lungo termine e di titoli ipotecari. Di conseguenza, le società di venture capital, consapevoli della relazione per cui alla salita dei tassi d’interesse scendono i prezzi delle obbligazioni, hanno consigliato alle start up con cui lavorano di ritirare i loro depositi. Ciò è dipeso dalle regole contabili introdotte dopo il 2008”.
Dietro la crisi un’eccessiva dipendenza dai Venture Capital
In sintesi, secondo Fisher, il problema principale di SVB è stata la sua dipendenza dai venture capital e un portafoglio AFS (“available for sale”, portafoglio delle attività disponibili per la vendita) troppo ristretto, appena al di sopra dei minimi legali. Quando le società di venture capital hanno iniziato a prelevare, la Banca ha venduto gli AFS in cambio di liquidità.
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“Di conseguenza, i regolatori hanno richiesto che SVB raccogliesse capitale, cosa che non ha saputo fare in tempi così brevi e che l’ha portata al fallimento”. Per quanto riguarda Credit Suisse invece, Fisher sottolinea come i guai fossero già ben noti da tempo e avessero portato a scelte sbagliate per ben 15 anni, un lasso di tempo che avrebbe permesso agli investitori di ridurre l’esposizione.
I veri rischi secondo Fisher quindi, non sarebbero legati a eventuali alla mancanza di liquidità e attivi dell’attuale sistema bancario americano o europeo, a suo giudizio molto più solido dopo i regolamenti introdotti dopo la crisi del 2008, bensì alla potenziale nuova “ondata” di modifiche normative.
“Il rischio adesso è che il panico nel settore bancario porti a una nuova ondata di regolamentazioni, generando incertezza e disincentivando i prestiti. Ma sono i prestiti ad alimentare la crescita. In molti ora chiedono modifiche alle normative, anche costringendo le banche a classificare le attività HTM (Held to Maturity) ai prezzi di mercato; una mossa insensata che ripropone un film già visto in occasione della crisi del 2008. Senza cambiamenti nelle normative il clamore può venir meno in breve.”
Dello stesso tenore le parole del presidente esecutivo di Fisher Investments nel suo intervento sul sito del New York Post. “Vi ricordate di quelle nuvole nere che incombevano sull’Europa lo scorso autunno? Avvertimenti terrificanti di carenza di gas naturale, blackout invernali, guerra che si estende verso ovest, stagflazione senza fine e, naturalmente, recessione. Ma nulla di tutto questo si è mai verificato. Invece, le azioni dell’Eurozona sono aumentate di quasi un terzo dal minimo di settembre”.
“Le grandi tendenze sono globali, non locali, sempre”, ha aggiunto Fisher. “Soprattutto ora, mentre le paure del contagio bancario galoppano. Alcune di queste preoccupazioni sono esagerate. In questo momento si stanno diffondendo discorsi sulla crisi bancaria in stile 2008. Ma Credit Suisse era da circa 15 anni che stava cercando di morire”.