«Nuove sanzioni». Joe Biden lo ha detto chiaro e tondo nella sua visita-lampo a Kiev del 20 febbraio. A quattro giorni dalla (triste) ricorrenza di un anno di guerra, morti e distruzioni in Ucraina e di stravolgimenti nel resto del globo, il presidente americano si è materializzato nella capitale ucraina al fianco di Zelensky per tenere alto il morale del fronte occidentale ma soprattutto per ribadire la linea dura contro Putin e la Russia. Almeno sul fronte delle ritorsioni economiche.
Un annuncio che ha fatto il paio con quello dell’Alto Rappresentante della Ue per la politica estera, Joseph Borrell dal quale – nello stesso giorno dell’entrata in vigore del tetto al prezzo del gas – si è appreso che anche Bruxelles ha preparato un nuovo pacchetto di sanzioni da circa 11 miliardi di euro contro Mosca. Sarebbe il decimo dall’inizio dell’offensiva russa in Ucraina del 24 febbraio di un anno fa.
Sanzioni Russia oggi Ue pronta a un altro pacchetto
La presidente Ursula Von der Leyen ha anticipato che ci sarà “un rafforzamento degli obblighi di comunicazione sui beni congelati legati a società e individui russi sanzionati” e parlato di sanzioni fino a 50mila euro per i singoli e fino al 10% del fatturato in caso di mancata comunicazione delle informazioni richieste. Le nuove restrizioni commerciali dell’UE pare che andranno a colpire i beni utilizzati dalle forze armate russe: tecnologia, componenti di veicoli pesanti, elettronica, terre rare. E non finisce qui: ci saranno limitazioni pesanti anche sulle licenze di trasmissione dei media russi controllati dal regime, divieti ai cittadini russi di ricoprire incarichi di governo negli operatori di infrastrutture ed entità critiche europee e di stoccaggio di gas.
Le sanzioni contro Mosca continuano ad essere, dunque, la vera arma fondamentale con cui l’Occidente intende fermare l’aggressione russa da un lato e supportare la resistenza ucraina dall’altro.

«Una strategia fondata su questi due pilastri, più che a vincere la guerra, è mirata a “costringere”, Putin ad accettare una trattativa che fermi il conflitto e conduca a un accordo di pace. Parlare di pace, oggi, può sembrare un sogno, un’illusione. Tuttavia la storia ci insegna che tutte le guerre, prima o poi, finiscono. Nel caso dell’Ucraina, come e quando questo accadrà è presto per dirlo». Enrico Singer è uno che di faccende russe (ed europee) se ne intende abbastanza: ha fatto per anni il corrispondente da Mosca (e anche da Bruxelles) per “La Stampa”, proprio nell’epoca in cui si andava sgretolando quell’impero sovietico di cui Vladimir Putin vagheggia di rinverdire gli antichi fasti.
Singer, finora però le sanzioni non hanno prodotto l’effetto sperato… l’offensiva russa continua e, come lei stesso conferma, al momento la pace sembra un’ipotesi remota.
Sì, ma le sanzioni giocano un ruolo molto importante. Perché se le forniture di armi sono necessarie per fronteggiare sul terreno l’esercito inviato da Mosca, le sanzioni hanno obiettivi multipli: servono a indebolire l’economia russa, già provata dallo sforzo bellico, e servono soprattutto a dividere i gruppi di potere che sostengono oggi Vladimir Putin perché ne colpiscono gli interessi.
Cioè vanno a colpire sia il sistema che i singoli?
È così. E anche se non mi piace semplificare troppo una materia che è molto complessa, si può dire che le sanzioni prese dagli Stati Uniti e dall’Europa si possono dividere sostanzialmente in due categorie. Quelle dirette contro il sistema economico della Russia – il blocco di gran parte dei commerci sia di import che di export, il tetto al prezzo dei prodotti energetici, i limiti agli scambi finanziari, i divieti di sorvolo e di traffici marittimi e terrestri – e quelle ad personam. Quelle che colpiscono gli interessi e i patrimoni dei cosiddetti oligarchi: degli uomini più in vista e più potenti del regime.
A partire dallo stesso Putin…
Già, passando per il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, fino all’ex patron del Chelsea, Roman Abramovich. Ci sono, quindi, sanzioni mirate a indebolire l’economia russa nel suo complesso – con riflessi anche sul livello di vita di tutti i cittadini – e sanzioni dirette a colpire un numero più limitato, ma più “qualificato”, di persone: quelle che detengono le redini del sistema politico-economico e che sostengono Putin. Che sono il suo cerchio magico, per usare un’espressione nostrana. Finché restano unite. Ma che potrebbero anche decretare la sua fine – o, almeno, costringerlo a rivedere i suoi piani – se si convincessero che l’avventura in Ucraina rischia di portare alla rovina tutto l’intreccio tra fortune private e pubblici poteri che lo stesso Putin ha costruito per assicurarsi il controllo del sistema. Una logica che in Russia ha cambiato più volte volto – dai boiardi ai tempi degli zar, agli appartnicik ai tempi del Pcus, fino agli oligarchi di oggi – ma che rappresenta sempre l’ossatura del potere.
Va bene ma mi permetto di insistere: l’efficacia di queste sanzioni è ancora tutta da vedere…
In Occidente e in Italia in particolare, della loro efficacia se ne discute sin da quando furono adottati i primi pacchetti di misure. Perché tutti sanno che le sanzioni sono un’arma a doppio taglio: colpiscono chi le subisce, ma colpiscono anche chi le applica perché deve rinunciare a commerci vantaggiosi e a rifornimenti – nel caso della Russia di gas e petrolio – spesso essenziali. Ma anche qui si devono separare le due categorie di sanzioni: quelle che colpiscono l’insieme del sistema economico-finanziario della Russia e quelle ad personam come i sequestri di beni: che siano i conti bancari, le proprietà immobiliari, o le lussuose imbarcazioni degli oligarchi.
La stessa Italia sui patrimoni personali ha colpito duro. Nel nostro Paese sono stati congelati quasi 2 miliardi di beni ad imprenditori russi considerati vicini al regime…
Vero. E qui c’è un primo, grande paradosso. E’ evidente che le sanzioni che colpiscono l’insieme del sistema economico-finanziario della Russia rappresentano il capitolo più sostanzioso dei provvedimenti presi e, almeno a livello delle statistiche macroeconomiche, hanno già avuto effetti sensibili: nel 2022 il Pil russo stimato dalla Banca Mondiale è sceso del 4,5 per cento. Tuttavia i contraccolpi sul tenore di vita dei cittadini sono stati assorbiti senza particolari shock. Tanto che Putin, nel suo discorso di questi giorni, ha detto che l’Occidente “si era illuso di piegare la Russia con le sanzioni”.
Ed è davvero così?
La sua è propaganda, naturalmente. Perché anche nella guerra delle sanzioni c’è molta disinformatjia da parte del Cremlino. Tuttavia non bisogna mai dimenticare che i russi hanno vissuto e superato altre situazioni di crisi. Cinque soltanto negli ultimi cinquant’anni. Ricordo che quando sono stato corrispondente a Mosca per La Stampa dal 1990 al 1992, gli anni del crollo del regime comunista, il mio interprete che si chiamava Sergei Sibirov, mi raccontò un episodio che non ho mai potuto verificare sui libri di storia, ma di cui lui si diceva certo.
Racconti.
Quando nell’ottobre del 1944 Winston Churchill andò a Mosca per incontrare Josef Stalin e disegnare con lui i futuri confini di quella parte d’Europa già occupata dall’Armata Rossa, vide nelle strade, sotto la prima neve, delle persone in fila per comprare gelati – i morozhennoye – nei baracchini di legno agli angoli delle strade e disse al suo attendente: “Vedi, mangiano il gelato sotto la neve, adesso capisco perché stanno vincendo la guerra”. Come dire: che anche quella era una prova della resilienza di persone abituate a situazioni difficili. Altro discorso è valutare il livello di resilienza di chi, come gli oligarchi e i vertici degli altri centri di potere, si è ormai abituato a livelli di vita e a privilegi ben diversi.
In effetti i russi di oggi, e gli oligarchi nella fattispecie, non si può certo dire che facciano la vita spartana dei loro connazionali nel Dopoguerra. L’obiettivo è metterli in crisi levando loro i lussi, gli yacht, lo champagne, i jet privati e tutti gli altri agi da nababbi ai quali non saprebbero più rinunciare?
Esatto. Per rompere il consenso attorno a Putin da parte di quelli che in Russia sono chiamati i siloviki, le sanzioni ad personam possono essere addirittura più efficaci delle sanzioni che colpiscono il gas o il petrolio che – magari a prezzi più bassi – Mosca riesce a dirottare su altri mercati, quello cinese prima di tutto. L’elenco delle sanzioni ad personam è lungo. In totale, tenendo conto anche delle misure imposte dopo l’annessione della Crimea nel 2014, la Ue ha sanzionato 1.386 persone e 171 entità pubbliche o private. Al primo posto nell’elenco c’è, naturalmente, il presidente Vladimir Putin. Seguono il ministro degli Esteri, Sergey Lavrov, l’ex presidente filorusso dell’Ucraina,Viktor Yanukovyc, oligarchi legati al Cremlino come Roman Abramovich, membri della Duma (la camera bassa del Parlamento), membri del Consiglio di sicurezza nazionale, ministri, governatori e personalità politiche locali come il sindaco di Mosca, alti funzionari e militari, imprenditori di spicco (ossia persone attive nell’industria russa e altre persone che forniscono allo Stato russo servizi finanziari, prodotti militari e tecnologie), propagandisti e responsabili della disinformazione (comprese le principali agenzie di stampa e le tv russe). L’elenco comprende anche persone responsabili delle atrocità commesse a Bucha e a Mariupol, degli attacchi missilistici contro civili e infrastrutture critiche, di rapimenti e successive adozioni illegali di minori ucraini e del reclutamento di mercenari per combattere in Ucraina.
E non si tratta solo di beni congelati…
No, nei confronti delle persone le sanzioni consistono in divieti di viaggio oltre che congelamento dei beni. I divieti di viaggio impediscono di entrare o transitare nel territorio della Ue per via terrestre, aerea o marittima. Il congelamento dei beni significa invece che tutti i beni e i conti appartenenti alle persone inserite nell’elenco sono bloccati. In questo modo si garantisce che il loro denaro non possa più essere utilizzato per sostenere il regime russo e che non possano cercare di trovare un rifugio sicuro nei Paesi della Ue.
Il congelamento non equivale però a una confisca.
No e ha un rovescio della medaglia. Negli Stati di diritto, come lo sono i Paesi della Ue, il congelamento dei beni è una misura che può essere revocata – magari in caso di fine della guerra – e questo significa che i beni possono tornare nella disponibilità dei loro proprietari. Quindi, sempre per legge, devono essere conservati integri e in buone condizioni.
Il che vuol dire che lo Stato italiano deve stare attento a conservare l’integrità di questi beni?
Sì e traducendo in pratica un bene congelato è un costo per le casse dello Stato. Ed è ben nota la polemica sulle spese sostenute, per esempio, per mantenere efficienti le barche di lusso degli oligarchi russi che si trovano in Italia, compresa una che sarebbe di proprietà dello stesso Putin attraverso dei prestanome.
Ma a quanto ammontano questi costi?
Beh mediamente – tra spese di ormeggio, paga degli equipaggi, manutenzioni – il costo del mantenimento per una imbarcazione arriva a 40mila euro l’anno. E poi ci sono costi anche per ville e altre proprietà congelate. Un calcolo approssimativo valuta, per l’Italia, una spesa di 35-40 milioni di euro già sostenuta nel 2022.
Insomma, anche in questo caso l’Italia e l’Europa ci stanno rimettendo…ma è mai possibile?
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha parlato più volte dell’intenzione dell’esecutivo di Bruxelles di “mettere a frutto” i sequestri trasformandoli in confische per ricavare fondi da destinare agli aiuti per l’Ucraina. Ma di decisioni ancora non ne sono state prese.