Nella sua ultima relazione, la parola chiave – “rappresentanza” – l’ha usata 19 volte: perché Secondo Scanavino, Dino per tutti, presidente della Confederazione italiana agricoltori (Cia) dal 2014 e in procinto di una pressoché certa riconferma, sa che la chiave di tutto è lì: non solo difendere ma accentuare il ruolo, l’incisività e quindi il senso dell’aderenza ad una confederazione, un senso condiviso nel suo caso da quasi 900 mila iscritti di cui un terzo imprese e due terzi agricoltori. Per lui la politica agricola – che tra i settori dell’economia è quella più indissolubilmente collegata alla politica tout-court, non foss’altro che per poter dialogare con i decisori agricoli europei – deve tornare a tutelare gli interessi degli imprenditori agricoli e non solo, quando riesce, del made in Italy: “Nel difficile rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa”, ha detto nella sua ultima relazione, “la rappresentanza sociale è chiamata, in primo luogo, a segmentare i soggetti rappresentati per poter interfacciare meglio problemi e trovare soluzioni più concrete e vicine ai fabbisogni reali”.
Anche nel mondo dell’artigianato, sia Confartigianato che CNA, un tempo distanti, si sono dette deluse dalla manovra di bilancio 2018
Già: era il più politicizzato, trent’anni fa, il mondo della rappresentanza agricola. C’era la “rossa” Cia e la democristiana Coldiretti – che resta leader, con 1,6 milioni di agricoltori e la maggioranza assoluta delle imprese che operano nell’agricoltura italiana, con circa il 70% degli iscritti alle camere di commercio tra le organizzazioni di rappresentanza. E poi c’era la Confagricoltura, meno imprese ma più grandi, di area laica centrista. Ma adesso, con l’impazzimento della maionese politica, che senso avrebbero schieramenti del genere? Non che gli steccati siano stati abbattuti: ma la loro bandiera politica è stinta, se le differenze restano sono soprattutto di nomenclatura e consuetudine, non di sostanza.
Un po’ come nel mondo dell’artigianato, anch’esso molto ben rappresentato e da varie sigle, un tempo rigidamente diversificate, oggi meno. Tanto che entrambe le due maggiori confederazioni – Confartigianato, di storica posizione centrista, e Cna, di sinistra – si sono dette sintonicamente deluse dalla manovra di bilancio 2018, con slogan coloriti: “Non prendeteci per il mulo”, in casa Confartigianato. E “Basta blabla”, firmato Cna, secondo cui “la legge di bilancio 2018 dimentica artigiani e piccole imprese”.
Il nostro compito è trovare soluzioni concrete e più vicine ai fabbisogni reali degli associati
Confederazioni leader del settore: appunto la Confartigianato Imprese, leader per numero di iscritti – dichiara di “servirne” oltre un milione e mezzo – articolata in ben 113 associazioni territoriali, 20 federazioni regionali, 12 federazioni di categoria, 44 associazioni di mestiere, con quasi 11 mila addetti che operano in 1215 sedi. Ha teso a diventare sinonimo di tutta la piccola impresa, anche con un azzeccato spot radiofonico: “Senza la piccola impresa all’Italia manca una nota”, seguito dall’Inno di Mameli stonato. E c’è la Cna, Confederazione nazionale dell’artigianato: oltre 711.000 iscritti, da sempre orientata alla sinistra politica più responsabile, oggi struttura molto dedicata al servizio e all’innovazione, a sua volta con una forte presenza sul territorio e una incisiva identità negoziale.