Joe Biden, 46mo Presidente degli Stati Uniti d’America, subito dopo la vittoria elettorale del 3 Novembre 2020, ha annunciato che “America is back” riaffermando così la ripresa del ruolo storico degli USA come leader globale. Questo ruolo durante la presidenza Trump seguendo il motto America First si era di fatto trasformato in America Alone, isolando la maggiore potenza mondiale dal contesto globale delle relazioni diplomatiche e commerciali e oggi tutto il mondo si aspetta questo cambio di passo come una ventata di ottimismo per rilanciare il dialogo internazionale e il trade globale.
La nuova politica estera di Biden verrà gestita da un trio di professionisti dalla decennale esperienza maturata in ruoli di alto profilo negli anni della Casa Bianca del Presidente Barack Obama: Antony Blinken nominato Segretario di Stato, Jake Sullivan come Consigliere della Sicurezza Nazionale e Linda Thomas-Greenfield nel ruolo di Ambasciatrice USA presso le Nazioni Unite, e il loro ruolo sarà quello di ridisegnare e rilanciare le relazioni transatlantiche con i paesi alleati storici, rientrare nei trattati internazionali quali il Paris Climate Agreement sul cambiamento climatico e la WHO organizzazione mondiale della sanità, rafforzare il legame con la NATO, rivedere l’accordo sul nucleare con l’Iran siglato durante la presidenza Obama su base continuativa e dal quale Trump si è ritirato, sponsorizzare nuovi accordi commerciali e di free trade a partire dall’Unione Europea e dal Regno Unito e riallineare le relazioni economiche con la Cina compromesse da Trump.
Il presidente Obama aveva infatti iniziato un brillante accordo di free trade tra 12 paesi dell’area Asia-Pacific e denominato TPP (Trans Pacific Partnership) tra cui U.S.A., Canada, Giappone, Vietnam e Australia, poi cancellato da Trump con executive order appena insediato alla Casa Bianca nel 2017 con il risultato che i restanti 11 paesi hanno siglato l’accordo di libero scambio CPTPP (Comprehensive and Progressive Trans Pacific Partnership) lasciando fuori gli U.S.A.
Inoltre, oggi la Cina ha siglato RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), il più grande accordo di free trade al mondo che coinvolge 15 paesi (Cina, le 10 economie ASEAN, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda) che rappresentano il 30% della popolazione e il 30% del PIL globale.
Sempre in tema di rapporti con la Cina sono proprio gli U.S.A. ad avere bisogno della Cina più di quanto la Cina abbia bisogno degli U.S.A. e principalmente per 2 motivi: primo perché Pechino detiene 1,07 triliardi di dollari del debito pubblico U.S.A. e secondo perché gli Stati Uniti importano dal Regno di Mezzo tutta una serie di beni di consumo low cost che fanno parte del capitolo di spesa della classe sociale americana meno abbiente e con fascia di reddito più bassa.
Inoltre, nonostante l’imposizione dei dazi doganali voluti da Trump su 250 miliardi di export cinese verso gli U.S.A., la bilancia commerciale tra import ed export ha segnato nel 2019 un valore negativo per parte americana, con un deficit di 345 miliardi di dollari e questo valore negativo si è maggiormente ampliato arrivando a 421 miliardi di dollari nei primi 3 trimestri del 2020.
Quindi nello scacchiere del commercio globale la Cina, che è stata facilitata nel sorpassare gli U.S.A. grazie anche ai 4 anni di Trump, avrà sempre di più un ruolo primario e il governo Biden dovrà svolgere un delicato dialogo diplomatico per riallineare gli interessi delle 2 principali potenze globali e smussare tutte le aree di criticità, inclusa una nuova rivisitazione del TPP anche per controbilanciare l’influenza cinese nella regione Asia-Pacific seguendo il motto America is back.
Il mercato U.S.A. per il Made in Italy: cosa cambia con la Presidenza di Joe Biden
L’export del Made-in-Italy verso gli U.S.A. si è sempre basato principalmente su beni di consumo finali piuttosto che semilavorati rendendo il mercato americano più come un eccellente cliente consumer che un partner produttivo, ed è cresciuto nel Q1 2020 rispetto al Q1 2019 passando da €10,7 miliardi a €11,9 miliardi, mentre nel Q2 ha registrato una flessione dovuta per effetto della pandemia Covid attestandosi per il primo semestre 2020 su un totale export di €19,9 miliardi rispetto ai €22,3 miliardi del primo semestre 2019.
Il mercato U.S.A. si riconferma come il principale destinatario extra UE, sia per i tradizionali legami tra Italia e USA sia per la capacità, interesse e preferenza del mercato americano per l’elevata qualità del Made in Italy. Gli U.S.A. saranno un mercato più facile per il Made-in-Italy con la Presidenza Biden?
Diciamo tendenzialmente di sì. Biden è un “atlantista” e rapporti tra U.S.A. ed Europa miglioreranno. Partiamo dal macro: la UE è pronta ad applicare dazi per 4 miliardi di dollari su una serie di prodotti U.S.A. come reazione alla controversia alimentata da Trump in campo aeronautico tra i 2 principali produttori, l’americana Boeing e l’europea Airbus accusata da Washington di beneficiare di aiuti di stato da cui i dazi di Trump su una serie di prodotti UE per un importo complessivo di 7,5 miliardi di dollari.
Nell’agenda di Biden è già prioritario il caso Boeing/Airbus e da qui partire per rilassare il dialogo con la UE e gettare le basi per un accordo di free trade U.S.A./UE del quale l’Italia ne beneficerebbe a pieno titolo. Dopo 23 trimestri consecutivi di crescita dal 2014 fino al primo trimestre 2020 e una parentesi negativa nel primo semestre del 2020 dovuta al lockdown causa Covid, gli U.S.A. hanno registrato nel terzo trimestre una fenomenale
risalita del PIL del +7,4% (pari ad una crescita del +33,1% trimestre su trimestre) per effetto della riapertura dell’economia americana che adesso mostra una tendenza di forte e grande ripresa.
Inoltre risulta molto positiva la previsione di crescita del PIL americano per il 2021 che spazia da un conservativo +3,5% ad un più ottimistico +7,1% come previsto dal think tank The Conference Board.
Il mercato U.S.A. è quindi sempre di più “open for business” e per il Made in Italy i settori con il maggior potenziale rimangono i classici best players quali la meccanica di precisione, il farmaceutico e le varie declinazioni del Luxury nelle 3 F del Food, Furniture e Fashion, simbolo del lifestyle del belpaese.
Si allontana quindi lo spettro di eventuali dazi per i prodotti export della filiera agro-alimentare (che nel 2019 ha registrato un valore export di 4,8 miliardi di euro e ha registrato un incremento del 4% nei primi 3 trimestri del 2020) in particolare per pasta, olio e vino e ci si aspetta ora che Biden elimini i dazi del 25% impost da Trump su prodotti quali salumi, formaggi e liquori.
A dovere di cronaca nella storia degli U.S.A. dal 1970 a oggi solo 2 presidenti, Bill Clinton e George H.W. Bush, non hanno mai applicato nuovi dazi sui prodotti importati
Poi prospettive positive per le aziende della filiera “green”, dai veicoli elettrici al fotovoltaico, vista la sensibilizzazione di Biden per le tematiche legate al cambiamento climatico e il suo obiettivo di far diventare gli U.S.A. un paese a zero emissioni entro il 2050.
Le relazioni U.S.A.-Italia si rafforzeranno ma, pur nella solidità e storicità delle relazioni, il governo italiano dovrà chiarire a Washington la propria posizione nei confronti dei rapporti con la Cina visto che il belpaese è l’unica maggiore economia della UE (gli altri sono Austria, le repubbliche baltiche e i paesi dell’area balcanica) nonchè unico paese del G7 ad aver aderito al piano BRI Belt & Road Initiative – la nuova via della seta che il governo cinese ha inserito nel 2013 quale pilastro della politica estera del paese – e sono anche notevoli gli investimenti cinesi in Italia oltre alla
partecipazione di Huawei nella rete 5G del belpaese.
Come si affronta il mercato U.S.A. per risultare competitivi
Gli U.S.A. rimangono il principale mercato di riferimento per le aziende del Made-in-Italy ma un errore comune compiuto di frequente da moltissime PMI che guardano agli U.S.A. per operazioni di export è quello di considerare gli Stati Uniti come un unico mercato mentre la vastità geografica del paese, le differenze socio-demografiche nel territorio, la varietà di gusti e preferenze che caratterizzano le differenti demografiche dei consumatori così come il processo decisionale di acquisto da parte di buyers e distributori lo rendono una somma di mercati differenti, ognuno con le sue peculiarità e caratteristiche che necessitano di una strategia designata ad-hoc e non del tipo one-size-takes-all.
Quindi, prima di avvicinarsi al mercato americano risulterà strategico come primo step svolgere quella che io chiamo PRE-START, una analisi di market, business e competitive intelligence per comprendere il mercato U.S.A. prima di entrarci e per consentire all’Imprenditore, al CEO, al Board di Direzione di poter prendere la decisione di ingresso sulla base di insights che evidenzino, oltre al potenziale e alle opportunità di business, quali sono i cambiamenti in atto nei mercati, i nuovi comportamenti di consumatori e dei concorrenti, le conseguenze sul business model attuale, sul vantaggio competitivo e sulla value proposition.
Saranno così vincenti solo quelle PMI che invece che avere come unica priorità quella di vendere il proprio prodotto così com’è saranno in grado di “think out of the box” per sviluppare un modello di business disegnato per il mercato U.S.A. e che li veda nel ruolo di azienda che cresce nel mercato e lo sviluppa per acquisire una nicchia distintiva oppure la leadership di prodotto o di categoria.
Gli U.S.A. pur nella appetibilità ed attrattiva rimangono un mercato altamente selettivo e competitivo e pensare di gestirlo solo dall’esterno diventerà sempre più complesso mentre risulterà strategico considerare il mercato U.S.A. come un mercato “domestic”, cioè nazionale, operando quindi dall’interno del mercato attraverso un ufficio di rappresentanza basato negli U.S.A. per promuovere le attività di business development oppure un regional office incorporato negli U.S.A. per gestire direttamente il mercato.
In entrambe le soluzioni il dialogo diventa privilegiato perché avviene tra una sede americana e un buyer americano, aspetto che trasmette al buyer/partner un forte elemento di trust, di fiducia, sulla volontà dell’azienda Italiana di voler sviluppare seriamente il business nel mercato in maniera strutturata.
Il buyer americano oggi non è più interessato solo a ordinare un prodotto bensì a sviluppare una duratura relazione di business e i risultati sono una conseguenza della qualità delle relazioni e le relazioni nascono, si sviluppano e si fidelizzano molto più saldamente direttamente nel mercato.
Nell’ottica di una strategia di new economy è importante sottolineare che se le aziende non dispongono di skills e risorse interne per gestire questi ambiti in maniera efficace, risulterà strumentale avvalersi in outsourcing della consulenza e del supporto di un advisor esterno e presente nel mercato U.S.A. che abbia padronanza delle sfumature del doing business in the U.S.A. perché può generare quel quick start che crea la differenza con un sinergico lavoro di squadra – advisor e azienda – che traduce gli obiettivi di business in risultati ottimizzando ROI e time-to-market.
* CEO di MTW GROUP-Foreign Market Entry Advisors, società di International Business Advisory fondata nel 2005 con Corporate HQ a Miami, Florida e Asia Regional Office a Singapore che offre consulenza e servizi di Strategia per l’Internazionalizzazione, Brand Marketing e Corporate & Legal ad aziende PMI e Mid-Market con potenziale di crescita nel mercato USA e in selezionati mercati in Asia (antonio@marketingthatworks.us * www.marketingthatworks.us).