Un’alleanza globale di studi legali che ha al centro l’italiana Grimaldi, quindi particolarmente indicata per sostenere l’internazionalizzazione delle nostre aziende. È Grimaldi Alliance, che in poco più di 6 mesi ha raggiunto 40 paesi nel mondo grazie ad accordi paritari di joint-venture con studi legali in loco. Il modello seguito è quello del code sharing, l’accordo tra compagnie aeree che permette a una di vendere biglietti anche su tratte dell’altra che non opera direttamente, e viceversa. Ultima tappa della veloce crescita di Grimaldi Alliance è l’India, un mercato di grande prospettiva, grazie agli accordi con gli studi Octagona e Satinder Kapur & Associates, presenti da circa 20 anni sul mercato indiano, con uffici in New Delhi, Pune e Bangalore. Il 13 febbraio si tiene a Milano il primo Business Forum organizzato da Grimaldi sulle opportunità commerciali tra Italia ed India, con la presenza dei principali stakeholders del settore. «L’India è uno dei principali mercati di sviluppo delle imprese italiane, con una enorme domanda interna» dice Francesco Sciaudone, Managing Partner di Grimaldi, che in questa intervista racconta la filosofia dell’alleanza da lui realizzata.
Qual è l’obiettivo di Grimaldi Alliance?
Ci proponiamo di creare un ponte, un’infrastruttura tra l’Italia e tutti i paesi dell’alleanza, grazie alla presenza in loco di strutture stabilmente operative. In questo modo si riducono i costi di accesso a quei mercati, e si semplificano le modalità di gestione degli investimenti che vengono fatti perché possono essere seguiti da remoto. Questo consente una più semplice presenza che non dev’essere ogni volta organizzata con il viaggio, la spedizione, mandando qualcuno, ma grazie al presidio costante e stabile che possiamo avere in tutti questi paesi grazie alle strutture parte dell’alleanza presenti in questi territori. È una logica tipica del network, creare un’infrastruttura significa migliorare la capacità di accesso a quei mercati, ottenendo così una riduzione del rischio paese.
L’infrastruttura tra studi legali consente di aiutare i propri clienti anche in paesi in cui non si è presenti con propri uffici
Quanto è innovativa la formula che avete scelto?
È una novità assoluta. L’idea di applicare il modello del code sharing nel settore dei servizi legali non è mai stata utilizzata da nessuno, tantomeno creando un’alleanza italocentrica come questa, che gira attorno a Grimaldi. Una piattaforma di questo tipo per seguire clienti sui mercati internazionali non esiste da nessuna altra parte, gli unici in gradi di farlo sono le global firm Clifford Chance e Allen & Overy, o gli studi globali come Kpmg, che però non hanno questa connotazione di italianità.
Come avete fatto a costruire un’alleanza di studi legali che copre 40 paesi in soli sei mesi?
Quando un’idea è buona si sviluppa in tempi rapidi. Me lo chiedono in tanti: ma perché funziona? Perché evidentemente l’idea era buona e semplice da realizzare, altrimenti non ci saremmo riusciti mai, specie lavorando con avvocati che sono tendenzialmente propensi a creare un problema laddove non c’è… Non fosse stata una modalità semplice e intelligente di realizzazione di una buona idea non ci saremmo mai riusciti.
Al di là della formula, evidentemente c’è una domanda dei servizi che proponete.
È evidente a tutti che nel mercato dei servizi professionali non c’è bisogno di inventare la domanda, che è tendenzialmente indeterminata; anche l’offerta lo è, è molto ampia; il problema è il matching tra domanda e offerta. L’idea di Grimaldi Alliance è proprio quella di riuscire ad allineare domanda e offerta lì dove si genera il mismatch tipico dei mercati internazionali. Le imprese vanno all’estero? Sì, ci vanno comunque. Sono seguite da studi professionali? No, sono seguite malissimo e si lamentano sempre dei rischi che prendono e delle difficoltà che hanno. C’è un mismatch, che secondo noi si può superare grazie al modello di collaborazione che ci porta ad avere dei partner in esclusiva che aderiscono all’Alliance, e quindi contribuiscono a creare quel ponte, quell’infrastruttura della quale le imprese hanno bisogno.
Quindi c’era bisogno di fornire servizi alle imprese italiane nei paesi dove già operano.
Ci voleva un network professionale in grado di assistere le imprese. Non c’è tanto da aprire i mercati, migliorerà anche la capacità di accesso. In realtà andiamo semplicemente a ruota delle imprese che già sono andate in quei paesi, ma con la difficoltà tipica di non avere accesso a servizi professionali adeguati o comunque soddisfacenti rispetto ai mercati dove comunque vanno a operare. Non le portiamo noi, le mille imprese in Turchia ci sono già, non c’è però lo studio che lavora tra Italia e Turchia; ci sono già centinaia di imprese che lavorano in Polonia, ma non sono seguite da uno studio che è presente tra Italia e Polonia, e così via. Si tratta di seguire l’impresa e creare l’infrastruttura dove l’impresa è già andata con enorme sacrificio e difficoltà, per agevolare la continuità della sua strategia di internazionalizzazione e abbattere le difficoltà di accesso a quei mercati, riducendo il tipico rischio paese dei progetti di internazionalizzazione. Aiutiamo anche le aziende che vorrebbero andare e che fino adesso non sono andate perché era troppo difficile.
Siete appena sbarcati sul subcontinente indiano. È un mercato già importante per le nostre imprese?
Negli ultimi anni l’interscambio commerciale tra i due paesi ha superato gli 8 miliardi di euro, e oltre 600 imprese italiane hanno già stabilimenti produttivi in India. In proporzione al rilievo del mercato indiano sullo scenario globale, però, siamo ancora indietro. Il nuovo ambasciatore italiano Vincenzo De Luca, in un recente incontro che abbiamo fatto, ha evidenziato il dato: rispetto all’enormità del mercato indiano la presenza italiana è meno significativa di quello che potrebbe essere se fosse confermata la nostra presenza sui mercati internazionali, dove l’Italia vale in media l’1,4% dei mercati internazionali; in India siamo attorno all’1%, e lo 0,4% in India è un margine di crescita molto importante. Siamo convinti di poter essere di aiuto a tutti i nostri operatori economici già attivi in India e ai tanti che li seguiranno. Le regole del paese sono molto restrittive; abbiamo dovuto trovare uno studio e inventarci questa formula che ci permette di operare, presentandoci congiuntamente con il cliente e senza far finta di doverlo accompagnare senza poter operare in modo ufficiale. Siamo anche convinti che molte siamo ormai le imprese indiane che operano in Italia e nei paesi nei quali siamo presenti, anche nei loro confronti siamo pronti ad offrire il mix di competenze di Grimaldi.
Quali altri mercati ritenete di particolare importanza?
Quello turco vede la presenza di oltre mille imprese italiane, l’interscambio con l’Italia, nel 2018, è stato di 20 miliardi. Siamo presenti grazie all’accordo con lo studio Balay, Eryigit&Erten (Bee). La Turchia è l’unico paese extra Ue con un accordo doganale con Bruxelles. Un accordo molto importante perché consente l’import e l’export dei prodotti con regole speciali, che fa di quello turco un mercato quasi parte di quello europeo. Per questo molte imprese italiane vanno ad operare in Turchia.
E poi?
Un’altra frontiera è l’Africa, siamo in contatto con studi in 8-9 paesi pronti a finalizzare l’accordo di adesione a Grimaldi Alliance. Mercati mediterranei come quello di Egitto e Tunisia per noi sono strategici. Più in generale, l’Africa è uno sbocco molto importante, avrà un’enorme domanda interna in futuro; la strategia europea va in quella direzione, il continente sarà importante destinatario di risorse europee che serviranno per investire in loco e anche per arginare il fenomeno dell’immigrazione. Non a caso in Africa stanno investendo in modo importantissimo i cinesi, i russi, sono mercati in cui c’è una forte corsa all’investimento.