Dai problemi molto seri delle imprese italiane attive in Russia prima della guerra in Ucraina al riposizionamento delle filiere, dal reshoring in aree limitrofe come i Balcani alla divisione del mondo in tre macro aree. Roberto Corciulo, partner e presidente di IC&Partners, società di consulenza per l’internazionalizzazione che accompagna le imprese italiane sui mercati esteri, spiega in questa intervista come cambia il panorama del commercio globale.
Quale la situazione delle aziende italiane in Russia?
La guerra con le sue conseguenze ha colpito in maniera importante molto più il Nordest di altre parti d’Italia. Molte delle imprese presenti in Russia venivano infatti dall’area Nordest allargata, quindi Veneto, Lombardia, Emilia Romagna. La situazione ha congelato i nuovi progetti, ma le aziende che erano presenti e hanno fatto investimenti in loco non è che possano uscire dalla mattina alla sera. Anche perché quelle che hanno ipotizzato l’uscita sono vincolate da tutta una serie di temi tecnici in loco. Dal 2014 fino al 2021 in Russia c’è stato un percorso di import substitution che ha spinto aziende di tutte le nazionalità a investire lì. Non abbiamo un tessuto di grandi imprese italiane che possono chiudere un’attività all’estero senza problemi, ma un sistema di Pmi che con sacrifici ha fatto investimenti in loco: prima di mollare l’investimento cercano di trovare soluzioni.
Guardando allo scenario globale, quali le dinamiche in corso?
Si è ancora più definita la mappa del mondo, il fenomeno di reshoring e il riposizionamento delle filiere: è in corso una riorganizzazione generale. Ci sono paesi che si sono posti come alternativa alla Cina, perché il clima di tensione con gli Stati Uniti sta portando una serie di filiere che facevano capo a gruppi statunitensi a riposizionarsi su paesi più vicini. È il caso in maniera particolare dell’India, poi di Vietnam e Filippine, e per quanto riguarda l’ex area Nafta del Messico, in Europa la Polonia: tutti paesi che stanno accogliendo molti progetti. Questo al netto di un rallentamento dal punto di vista economico: fortunatamente non lo spettro di una recessione, ma un rallentamento c’è.
Quali dunque i movimenti delle imprese?
Le aziende, dopo essere state frastornate per questa situazione, si stanno riposizionando sui macromercati. Si sta evidenziando una divisione del mondo in tre macro aree: Asia; Europa e Africa; Stati Uniti, Canada e America Latina, quest’ultima un po’ più lenta mentre l’area Nafta, Messico in testa, si sta muovendo parecchio. Il mondo dal punto di vista produttivo si sta riposizionando così, con un fenomeno di reshoring che cominicia a muoversi in maniera non ancora significativa. Sono processi lunghi, non si chiude una fabbrica in Asia e la si porta in Europa dalla mattina alla sera. I Balcani sono uno dei territori di rientro, il fatto che l’Italia abbia preso una posizione forte in materia, supportando i processi di adesione dei paesi dell’area, sicuramente è una buona scelta per noi come paese, per un fatto politico da una parte ed economico dall’altra. Significa avere uno spazio per garantire il margine di redditività al nostro sistema industriale.
Che ruolo ha il reshoring?
Il fenomeno deriva dall’accorciamento delle filiere. La pandemia ha evidenziato i limiti di un sistema just in time, con la produzione in Cina, i magazzini che correvano sulle navi e poi arrivavano qui. Questo modello con il Covid è andato in forte crisi, oggi le aziende si sono riposizionate anche trovando delle filiere diverse di approvvigionamento e soprattutto avvicinandole il più possibile, per avere una duplice sponda da poter utilizzare. Questo è un fenomeno che si è consolidato con la pandemia e il post pandemia, e sta andando avanti. In questa logica di riposizionamento delle filiere si vanno ad allocare pezzi di produzione in territori vicini, nel nostro caso in area europea o in nord Africa. Il reshoring è un fenomeno partito già da un po’ di anni, nel 2008 che ha visto il fallimento di un modello di globalizzazione. La pandemia ha accelerato in modo esponenziale un fenomeno già in atto.
E l’Asia?
È un mercato di sbocco di cui non si può fare a meno, per la crescita della massa di consumatori in Cina, India, sudest asiatico. Un’area che si deve presidiare da lì, non si può pensare di gestirla in export dall’Italia. Si deve essere presenti, infatti molte aziende vanno in Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Indonesia, Filippine, tutti paesi che stanno crescendo: per noi è un mercato importante, e lo sarà sempre di più.