Il tema della gestione dei reclami è una leva potente di tutela ed è al centro della strategia aziendale. O almeno così dovrebbe essere.

Ciò soprattutto in ambito creditizio dove lo squilibrio a cui è esposto il cliente si acutizza in fase di contestazione: qui la patologia del caso specifico contamina l’intero ecosistema del rapporto intermediario-cliente indebolendo un ingranaggio essenziale della cara “sana e prudente gestione”: la fiducia

Il requisito organizzativo non è forma, è sostanza

Sfatiamo un primo mito. Quando l’impianto normativo bancario chiede agli operatori di dotarsi di sistemi di gestione dei reclami adeguati, proporzionati ed idonei non sta bandendo un “concorso amatoriale per la migliore policy” ma sta lanciando una sfida di accountability. Sta esigendo l’adozione di soluzioni coerenti con la struttura interna, il target di clientela, la tipologia prodotto.

Sta imponendo una fedeltà contenustica del set di regole adottate al raggiungimento dell’obiettivo finale. Veniamo all’obiettivo, così sfatando il secondo falso mito.

Sfiancamento del cliente? No, recupero dell’intermediario

La fase del reclamo per il cliente è il luogo della memoria, è il tempo del bilancio perché è proprio in questo frangente che comprende se ha fatto bene a fidarsi. Se rimanere in quella relazione ed in generale ancora investire prodotti, servizi, aspettative.

Perché al netto della semantica, con il reclamo il sistema si preoccupa di rimediare all’apatia reazionale del cliente che dinnanzi (talora) ad un microdanno rinuncerebbe a difendersi se non fosse che così facendo innescherebbe un circolo vizioso fatto di negazione dei diritti, diffusione di modelli scorretti di concorrenza, diffidenza e rinuncia a ricorrere al circuito legale bancario con il favoreggiamento di fenomeni – nella migliore delle ipotesi – borderline, talora illegali, spesso non soggetti a vigilanza che danneggiano tutti.

La fase di gestione del reclamo è allora come il “terzo tempo” nel rugby in cui emerge la vera natura delle intenzioni e la qualità del servizio reso.

È il momento della verità in cui la cultura aziendale, le prestazioni del CDA, la professionalità, il piano di business, l’efficienza delle Funzioni e dei flussi aziendali vanno in modalità di self- assessment.

Cosa vuol dire rispondere a un cliente insoddisfatto

Che poi sia chiaro: il reclamo non è una pausa tecnica per prepararsi ai ricorsi arbitrali o alla mediazione. Non è una tappa obbligata di una gara in cui “vinca il più forte”. Non è un adempimento formale.

È uno dei momenti più intensi della relazione dialogica con il cliente: quello in cui questi chiede aiuto ad una controparte che con trasparenza deve offrirlo. E non per istinto filantropico ma per obbligo di legge (qualora non bastasse il sacro fuoco del marketing) e con una obiettività che non è sinonimo di standardizzazione ma di sartorialità ed attenzione. Ed allora bando a risposte ciclostilate incoerenti con le richieste fatte o strategie evasive.

Perché rispondere in maniera difforme rispetto all’oggetto e alle richieste non è tattica, è inadempimento e violazione ad un complesso di norme di trasparenza che ha fatto di questo tema un pilastro fondante. E non solo.

I sistemi ADR e ODR integrazione del presidio aziendale

I sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie sono stati un’intuizione brillante in un contesto ad alta specialità, conflittualità e squilibrio giuridico ma si è trascurata una delle loro funzioni più innovative in ambito finanziario: divenire vera fonte di autoregolamentazione e best practices.

Il considerare il singolo provvedimento (magari aderente ad un orientamento consolidato) un mero strumento di manutenzione della lite e non estrapolare dallo stesso sistematicamente regole di condotte da integrare nella strategia aziendale è miopia.

Sbagliato relegare la “Funzione Reclami” alla “gestione pratiche”

E ciò perché in entrambi questi casi, mentre magari in quella stessa realtà si investono somme ingenti in strumenti tecnologici per aumentare la compliance, si trascura il più importante data set, propedeutico ad ogni implementazione informatica: il capitale di informazioni contenute nei reclami e nei provvedimenti di ABF ed ACF. 

Perché dunque non creare gateway di sistema, soluzioni di open-innovation ad hoc, standards di creazione dei software tecnologici in cui siano obbligatoriamente inclusi questi fattori e renderli oggetto di valutazione ai fini autorizzativi al fianco della vecchia cara relazione sui requisiti organizzativi? Magari normando espressamente i requisiti di accessibilità ed intellegibilità esterna e con sistemi di alert interni che impattino anche sui raggiungimenti del budget, sulla valutazione dei criteri ESG, sulle performance dei fornitori esternalizzati. Non esiste merito senza riconoscimento di un valore: la gestione del reclamo deve divenirne un parametro di ponderazione.

Sostenibilità è sfruttare e migliorare ciò che abbiamo

Ed allora in tempo di attenzione per la sostenibilità, per l’innovazione, per la ricerca di soluzioni regolamentari all’altezza della sfida di mercato, perchè non compiere il più eroico dei gesti: sfruttare e migliorare quello che abbiamo.

Vigiliamolo, sanzioniamolo e potenziamolo nei nuovi contesti sperimentali, di interlocuzione tecnica istituzionale e di progettazione informatica.

Poco glamour mentre esploriamo il metaverso?

Può darsi, ma i consumatori aldilà della brillantina futuristica hanno bisogno di certezze e l’intero sistema probabilmente ogni tanto di una tappa di riflessione, altrimenti si rischia – in questo straordinario viaggio – di lasciare a casa il bagaglio più importante: quello pieno di diritti (e coerenza).