Corre come se fosse una vettura di Formula Uno. Ha il nome della più blasonata tra le scuderie – le altre vorranno perdonarci – ma sta ottenendo risultati migliori di quella macchina rossa che tante generazioni di appassionati ha fatto sognare: l’industria casearia Ferrari ha vissuto un 2018 in pole position – tanto per restare nella metafora automobilistica – con una crescita di valore del 6,9% rispetto all’anno precedente e un fatturato di 121,5 milioni di euro realizzato attraverso 180 dipendenti in tre stabilimenti e due caseifici di produzione. Il merito di questa crescita – in un segmento, quello dei formaggi, che ha invece subito uno stop con un calo del volume (-0,8%) e un aumento del valore dello 0,1% – è soprattutto della continua concentrazione sui grattugiati Dop, che rappresentano oltre il 60% del fatturato complessivo del gruppo.
La famiglia Ferrari rimane ancora molto presente in azienda: detiene la maggioranza delle azioni e ha tutte e tre le sorelle impegnate in prima persona. Laura è presidente del gruppo, le altre due sono membro del consiglio di amministrazione. Ma per la prima volta la famiglia ha scelto di affidarsi a un amministratore delegato esterno, Massimo Estrinelli (nella foto), un passato in Kraft dove si è occupato del segmento formaggi.
«La nostra azienda – ci spiega il managing director di Ferrari Formaggi – ha raggiunto la leadership dei formaggi duri italiani nel mercato tedesco. Siamo numeri uno, per quanto concerne i grattugiati in Italia, nei misti, nel Grana Padano e nel pecorino, mentre occupiamo la seconda posizione nel Parmigiano Reggiano. La mia convinzione è che, una volta provato il grattugiato in busta, non si torni indietro al tradizionale “pezzo”.
Ferrari formaggi ha avviato una partnership con la francese Savencia per la distribuzione dei propri prodotti all’estero
La praticità, la garanzia di un prodotto comunque buono, l’assenza di muffa, la possibilità di richiudere il tutto una volta utilizzato rendono questo prodotto un miglioramento reale rispetto all’esistente».
L’azienda, negli ultimi mesi, ha rafforzato il proprio posizionamento nei segmenti Dop ad alto valore quali il Parmigiano Reggiano prodotto di Montagna, grazie all’acquisizione del caseificio di Valsporzana – che si aggiunge a quello di Bedonia, già di proprietà dell’azienda, entrambi nell’Alta Valtaro – ed il Grana Padano Riserva che rappresenta il 25% delle vendite di Grana Padano. Inoltre, con una crescita totale delle esportazioni del 6% e nei prodotti a più alto valore del 13%, il 2018 ha visto importanti risultati anche all’estero. «Abbiamo avviato una partnership – aggiunge Estrinelli – con il gruppo Savencia (uno dei più importanti player dell’agroalimentare francese, ndr), che distribuisce i nostri prodotti all’estero. Stiamo iniziando a espanderci in Asia, siamo presenti in Cile. Ma, certo, ancora non siamo dove vorremmo essere: in Belgio, per esempio, abbiamo una presenza ancora troppo marginale, così come siamo assenti in Regno Unito e Spagna. La nostra strategia non è quella di fare partnership, ma di mantenere il nostro brand: una strategia decisamente più premiante per quanto riguarda i margini».
L’agroalimentare, e il comparto del lattiero-caseario in particolare, sono infatti diventati ormai da tempo terreno di conquista per i più importanti operatori del settore. Ma la presenza di questi player non sembra preoccupare particolarmente il managing director di Ferrari Formaggi, Massimo Estrinelli: «Certo – conclude – l’ideale sarebbe contare su investimenti di minoranza da parte dei capitali stranieri, senza che la testa decisionale venga spostata. Però noto alcune differenze: le multinazionali francesi sono diverse da quelle anglosassoni. Le prime, infatti, hanno una maggiore capacità di preservare i business locali, e questo è un vantaggio che consente di conciliare le esigenze locali con le necessità di una multinazionale. I secondi, invece, hanno un approccio più pragmatico: entrano nell’azienda, la ristrutturano, centralizzano l’operatività e poi replicano in qualunque mercato lo stesso prodotto, senza declinarlo a seconda delle esigenze locali».