Le regole sono regole e vanno rispettate. Ma qualche volta vale la pena di cambiarle. Anche durante la partita, come si faceva da bambini, quando si gridava “pace!” per sospendere il gioco. Ecco: semplificare e velocizzare il processo di spesa delle risorse del Pnrr significa proprio cambiare le regole durante la partita. Così, dal 1° aprile, sarà operativa la riforma del Codice degli appalti, mentre dal 1° luglio 2023 è prevista l’abrogazione del Codice precedente (d. lgs. n. 50/2016) e l’applicazione delle nuove norme anche a tutti i procedimenti già in corso. Ma cosa cambia, in concreto, per le imprese? «Cambia una cosa astrattamente generica che non attrae subito l’interesse dell’impresa, ma è fondamentale per il funzionamento della pratica: il principio del risultato», risponde Luca Perfetti, partner di BonelliErede. Eh già: quello che è sempre rimasto nell’ombra, di fatto, è stato il cosiddetto “interesse pubblico” delle amministrazioni: «Cosa fosse in concreto non è stato mai chiaro: l’interesse pubblico da perseguire è sempre stato una clausola generale piuttosto vaga. La trasparenza? L’efficienza? Il miglior rapporto qualità/prezzo? La miglior concorrenza? E sotto quale profilo?». L’esempio classico  che l’avv. Perfetti cita è quello dell’offerta anormalmente bassa: «è un istituto che serve a tutelare la concorrenza, sulla base del diritto europeo, mentre prima le stazioni appaltanti tendevano ad approvare le offerte proprio in base al ribasso ben sapendo che successivamente l’impresa sarebbe risultata in perdita con la conseguenze revisione dei prezzi». 

Insomma, va bene tirare in ballo l’interesse pubblico, ma bisogna anche specificare di cosa si tratta. «La riforma ha il grande merito di chiarire finalmente cosa si intende per interesse pubblico predominante sugli altri interessi», sottolinea Perfetti: «il principio del risultato, inteso come l’interesse pubblico primario del codice stesso, che riguarda l’affidamento del contratto e la sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto tra qualità e prezzo nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza. Detto altrimenti: la pubblica amministrazione spende soldi per realizzare opere. E dunque le imprese ora devono essere in grado di dimostrare che riusciranno a mantenere il prezzo dell’opera o del servizio per tutta la durata dell’appalto. E la valutazione sarà discrezionale, ma non insindacabile. In altre parole: a prevalere, nell’aggiudicazione, sarà non più il prezzo più basso, ma il prezzo più affidabile. E sarà finalmente possibile coordinare gli interessi della pubblica amministrazione con quelli dell’impresa». Quanto alla revisione dei prezzi, la riforma conferma l’obbligo di inserimento delle clausole di revisione al verificarsi di una variazione del costo superiore alla soglia del 5%, col riconoscimento in favore dell’impresa dell’80% del maggior costo. 

Poi c’è la questione della divisione dell’appalto in lotti, il che favorisce le Pmi: «Esiste ovviamente la possibilità di non dividerlo, tutte le volte che ci sia un motivo per non farlo», sottolinea il partner di BonelliErede. «La giurisprudenza ha sempre parlato di “valutazione discrezionale”, ma si è sempre trattato comunque di una valutazione tecnica ed economica. Ecco: ora, avendo finalmente un criterio – quello della realizzazione dell’opera – per sindacare la valutazione discrezionale, è possibile per esempio comprendere come concentrando su un’unica impresa un alto rischio non si stia certo aiutando la realizzabilità dell’opera». 

Il passaggio dal criterio del minor prezzo a quello della realizzazione dell’opera è epocale. Non solo: «Dovrebbe aiutare a ordinare i problemi e quindi a rendere più spedita l’applicazione delle norme: è nelle fattispecie confuse che scatta il contenzioso», osserva correttamente Perfetti. Detto questo, come prepararsi correttamente a una gara? «Innanzitutto prestando molta attenzione rispetto ai ranking dell’azienda sia sul versante tradizionale dei profili di legalità sia su quelli più nuovi relativi alla sostenibilità», chiarisce il partner di BonelliErede. Che aggiunge: «Il driver è stato definito con grande chiarezza ed è elemento del buon funzionamento del mercato, anche se inizialmente comporterà per le imprese un onere significativo». Per esempio con l’irrigidirsi del principio della corretta applicazione dei Ccnl: «Se prima le gare si vincevano derogando sul costo del personale, ora si gareggia sulla base del servizio offerto, magari offrendo più tecnologia e meno manodopera».

Il nuovo codice reinserisce la figura del general contractor, in capo al quale viene imposto un obbligo di esternalizzazione della gara di una certa quota della commessa : «Serve per commesse molto grosse, tendenzialmente quelle che determinano un “quasi monopolio”». E poi l’appalto integrato, che era stato eliminato dal codice sotto il governo Renzi nel 2016: «Ora l’amministrazione  può tornare ad appaltare a un unico soggetto la progettazione e la successiva realizzazione di un’opera sulla base di un progetto di fattibilità tecnico-economica approvato, risolvendo la storica debolezza della PA nel redigere bene un progetto – per poi correggere il tiro a suon di varianti, fermo dei cantieri e aumenti del costo della commessa, ndr -: dato che il rischio del progetto torna in capo all’aggiudicatario, questi necessariamente dovrà avere una discreta capacità progettuale o comunque essere ben collegato con chi ce l’ha. D’altra parte gli appalti integrati sono più rischiosi, ma anche più remunerativi».

Infine, il nuovo codice, per la prima volta, si adegua al resto dell’Unione Europea ampliando la possibilità di ricorrere a procedure negoziate e persino all’affidamento diretto per opere e servizi di “entità modesta”, recependo le soglie di rilevanza comunitaria al di sotto delle quali è possibile ricorrere a procedure semplificate. Il che, secondo Luca Perfetti, è un bene: «Siamo sempre prudentemente andati molto, troppo al di sotto delle soglie previste dalle direttive comunitarie», commenta. «Il problema è che il legislatore non si è mai fidato della capacità delle stazioni appaltanti, per certi versi a ragione dato che sono troppe e non abbastanza professionalizzate. Gli appalti sotto soglia sono per definizione poco controllabili e dunque fino alla riforma si era semplicemente deciso che non esistessero – Perfetti ricorda la soglia dei 40 mila euro, ndr – ma questo ha determinato mancanza di flessibilità nelle procedure di gara per evitare di assumersi responsabilità». 

Ma non è certo perfetto, il nuovo codice degli appalti, secondo il partner di BonelliErede: «Come il precedente disciplina molto poco la vigilanza sulla fase di esecuzione dell’opera. È stata introdotta, generalizzandola, la figura del collegio consultivo tecnico di esperti nominati dalle parti – una sorta di collegio arbitrale, ndr – il cui compito è quello di risolvere con valore di lodo contrattuale tutte le controversie che si generano durante il contratto: dovrebbe dare risposte celeri e tempestive, ma se è uno strumento straordinariamente utile per grandi commesse, è un po’ costoso per quelle piccole. Anche sulla questione della cosiddetta “fuga dalla firma” il codice espressamente introduce il principio della fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta della pubblica amministrazione e dei suoi funzionari. Ma a creare il problema non sono le norme, quanto decenni di tagli al pubblico impiego, che vive una crisi della dirigenza. In altre parole: il problema non sta nelle norme, ma nella cultura della pubblica amministrazione».