Cosa abbiamo imparato dalla pandemia? Che molte delle evoluzioni, già in corso da alcuni anni, in materia di organizzazione del lavoro e di gestione della prestazione lavorativa, potevano essere indirizzate verso cinque fondamentali macroaree di interesse, di analisi, di business.
Innanzitutto, quella che abbiamo voluto definire la “sfida delle competenze” richiesta dalla rivoluzione Industry 4.0, dalla digitalizzazione dei processi e dall’Intelligenza artificiale. Senza investimenti nella formazione di base, e lungo tutto l’arco della vita (non solo lavorativa), non è possibile affrontare i cambiamenti richiesti in termini di nuovi mestieri e nuovi lavori, dalla rapida trasformazione del lavoro e dall’ingresso sempre più massiccio della tecnologia nei processi produttivi. Allenare le persone all’interno delle imprese ad acquisire nuove competenze e a mantenere, nel tempo, quelle acquisite con la formazione di base e specialistica, è la sfida più importante che individui e organizzazioni si troveranno molto presto ad affrontare. Anzi, che stanno affrontando già oggi. Un processo che la pandemia ha solo accelerato, e reso più pressante, come si è potuto vedere con la “fame digitale” che si è generata durante i mesi di lockdown. E qui veniamo al secondo argomento: il lavoro da remoto, e l’adozione generalizzata del modello ibrido caratterizzato dallo svolgimento della prestazione lavorativa parte in presenza e parte in remoto. Nel volgere di poche settimane – nel corso del 2020 – il lavoro da remoto ha avuto una vera e propria impennata, poi ridimensionata dal progressivo ritorno a quella nuova normalità che stiamo ancora vivendo. Una nuova strada è stata intrapresa. Una strada dalla quale non si potrà tornare indietro, anche se questo comporterà sicuramente superare timori, rigidità e sfide organizzative che non sono più rinviabili, perché è nei fattori dell’autonomia, della responsabilità individuale e della collaborazione per team di progetto, che trova fondamento il nuovo modo di lavorare per obiettivi che l’avanzare della rivoluzione tecnologica porta con sé. E così, la terza e fondamentale sfida è quella di ripensare, proprio attraverso il lavoro per obiettivi, anche il tempo di lavoro e il rapporto con la sua remunerazione, nella consapevolezza che, accanto ai sistemi tradizionali di remunerazione del lavoro, stanno acquisendo sempre maggiore rilevanza anche i sistemi di retribuzione alternativi, caratterizzati dai sistemi di welfare per i quali il benessere delle persone diviene strumento di regolazione dei servizi offerti, e obiettivo di sperimentazione di soluzioni sempre più innovative, nel rispetto del principio della “giusta retribuzione” che caratterizza il nostro ordinamento costituzionale ma con una più marcata attenzione agli obiettivi di benessere individuale e collettivo. Principi che governano anche il sistema delle relazioni industriali e che portano ad interrogarsi, anche in termini di equità, sullo stato di maturità dei sistemi di gestione e amministrazione del personale. Perché la quarta sfida che le organizzazioni devono fronteggiare, se davvero vogliono essere parte attiva in un mondo in continua trasformazione, sempre più orientato alla sostenibilità – Enviromental Social Governance – è sicuramente caratterizzata dalla capacità di negoziare e implementare forme di gestione del lavoro orientate alla partecipazione e al coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro, con particolare attenzione ai principi di equità, diversità e inclusione. Perché è attraverso questi principi, che si può concretamente parlare di centralità del valore delle persone all’interno delle organizzazioni. Perché, mettere “la persona al centro” non deve essere uno slogan privo di significato, ma un obiettivo primario. Ed è su questi fattori fondamentali che si articola la quinta importante sfida: favorire il ricambio generazionale. Con una popolazione in progressivo invecchiamento, con l’importanza che ha la tecnologia per le nuove generazioni, diviene essenziale ripensare al fondamentale ruolo di guida che le vecchie generazioni possono svolgere per quelle che oggi stanno facendo il loro ingresso al lavoro. Favorire, anche con strumenti contrattuali, il ricambio generazionale costituisce la più importante eredità che si può lasciare alle nuove generazioni per favorire la nascita dei nuovi lavori e mantenere nel tempo il know how e l’unicità che hanno sempre contraddistinto l’industria italiana.