Ci piace: la Chiesi una «bcorp» che pratica come predica
Estremamente avanzato dal punto di vista della sostenibilità sociale il nuovo contratto integrativo firmato a gennaio con i sindacati
Predicare bene è facile, ma comportarsi coerentemente assai meno. Lo sta facendo, però – ed è giusto darle atto – Chiesi Farmaceutici che a metà gennaio ha firmato con i sindacati confederali (unanimi) un nuovo contratto integrativo aziendale molto avanzato e attento alla sostenibilità sociale: «Abbiamo intrapreso un percorso – ha spiegato Ugo Di Francesco, Ceo del Gruppo (nella foto) – che ci ha spostato dalla mera contrattazione economica al voler fare la differenza a livello qualitativo nella vita dei nostri dipendenti».
Il nuovo contratto, che si applicherà a tutti gli oltre 2000 dipendenti del gruppo, offre loro un miglioramento generale del tenore di vita familiare come segnale concreto di vicinanza alla comunità e di rispetto per le tematiche ambientali, ed in coerenza con la scelta strategica dell’azienda di essere certificata B Corp. Tra le innovazioni salienti: migliora il congedo parentale per le lavoratrici madri e ai lavoratori padri sarà garantito il 60% della retribuzione (e non il 30% come da legislazione vigente) con completa maturazione dei ratei diretti ed indiretti. Al padre saranno concesse cinque giornate in più di permesso per la nascita del figlio e giornate di permesso retribuito per la malattia dei figli fino a 3 anni. Il part time ai genitori con figli di età inferiore ai 6 anni. E poi sono introdotte la cessione di ferie solidali con una banca/ore, aiuti economici particolari per lavoratori con patologie oncologiche o degenerative, rimborsi per asili nido e sciole materne, misure di prevenzione contrro le violenze di genere e molti altri istituti innovativi. Niente da dire: complimenti.
Non ci piace: ora i Benetton toppano anche su Autogrill
L’aumento di capitale da 600 milioni lanciato dalla società viene severamente punito dal mercato. Evidentemente c’è un problema di credibilità
In polemica con tutta Italia – dallo Stato ai cittadini – sulla strage del ponte Morandi per Autostrade, in rotta con il mercato finanziario per l’ultima mossa dell’altro pilastro del business di gruppo, Autogrill. Decisamente il gruppo Benetton (nella foto il fondatore Luciano) ha perso il tocco magico, a dir poco. Cos’è accaduto al colosso della ristorazione autostradale? Semplicemente che l’aumento di capitale da ben 600 milioni proposto per “supportare i futuri investimenti e cogliere eventuali opportunità di acquisizione” non è stato apprezzato né capito. L’operazione, ha spiegato il gruppo in una nota, «risulta essenziale il rafforzamento della struttura patrimoniale del gruppo, con la conseguente disponibilità di maggiori risorse per far fronte agli investimenti futuri, per proseguire il percorso di crescita e innovazione del gruppo e per cogliere, con la massima tempestività, le eventuali opportunità offerte dal mercato». Ma all’annuncio dell’operazione, che verrà comunque sottoposta all’assemblea dei soci il 25 febbraio prossimo con una delega quinquennale per l’esecuzione al cda, è seguito un memorabile crollo del titolo, che ha perso il 13,32% a quota a 4,36 euro.
È ovvio: il crollo del traffico connesso alla pandemia ha fatto crollare i risultati di Autogrill. Comprensibile. Ma quando si ha un socio infinitamente ricco, ci si aspetta che nei momenti di crisi planetaria metta mano alla tasca, in proprio, o quantomeno nel chiedere ai soci di partecipare al rischio finanziario del rilancio, garantisca per tutti. Macchè. Il gruppo ha annunciato di star allestendo un consorzio bancario di garanzia.