Ci piace, il Consiglio di Stato. Non ci piace, Apple.

Ci piace, il consiglio di stato che torna a funzionare

Finalmente la giustizia amministrativa non è più luogo per fare melina in attesa che il tempo passi e le pendenze rimangano irrisolte

Perché corredare un’intervista di un commento, per di più sullo stesso giornale che la ospita, e a distanza di molte pagine? È la scelta che Economy fa, qui, riguardo all’intervista al presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno, pubblicata appunto alle pagine 46 e 47 di questo fascicolo. Una scelta dettata dalla decisione di sottolineare come i risultati di efficientamento del Consiglio, che Pajno presenta con tono sobrio, come se niente fossero, sono invece la classica mosca bianca in un quadro di inefficienze desolanti della Pubblica amministrazione in genere e delle magistrature in particolare. Tanto più valore assume, dunque, la palingenesi del Consiglio di Stato: dimostra come il tabù della burocrazia immobile si possa sfatare e come anche uffici e amministrazioni vecchie di decenni possano avere un colpo di reni e diventare efficaci. E’ questione, evidentemente, di uomini e di buona volontà: e il caso del consigliere espulso, rapidamente anche se secondo le procedure, e senza tentennamenti o retromarce è una riprova straordinaria in un Paese dalla morale debole. Non dobbiamo più prendercela dunque con la giustizia amministrativa, magistratura come le altre, lecito punto di riferimento dei cittadini vessati (capita che lo siano!) e non deprecabile calcio d’angolo con cui prendere tempo e confidare nel fischio dell’arbitro che chiuda la partita di un contenzioso. Bravi quelli del Consiglio di Stato, assai meno chi – compresi i governi Renzi-Gentiloni – straparla di riforme della burocrazia senza poi farle sul serio, se non forse negli snodi di cui il cittadino non si accorge.

Non ci piace, la prepotenza da padroni del vapore di Apple

L’azienda guidata da Tim Cook, così come altri leader del mercato, ha reso il settore degli smartphone una specie di prigione dorata

Vedremo cosa ne sarà del procedimento giudiziario aperto in Francia a carico della Apple su un’ipotesi accusatoria molto grave, cioè l’inserimento negli iPhone di sistemi di obsolescenza programmata che li rallentino gradualmente nel tempo fin quasi a bloccarne il normale funzionamento per indurre gli utilizzatori a cambiarli con i modelli più recenti. Ma a parte quest’odiosa eventualità, certo tutta da dimostrare, non c’è bisogno di nessun procedimento giudiziario per notare che alcuni big della tecnologia di massa – e Apple più di altri – sono da tempo abituati a gestire il marketing come una sorta di droga leggera con la quale avvincere i clienti, senza lasciargli di fatto possibilità di alternative e infedeltà. 

Basti pensare alla insensata diversificazione di spine e spinotti, che ci costringono a cambiare tutto (e quindi ci dissuadono dal farlo) se vogliamo passare dall’una all’altra marca di smartphone. O all’ormai diffusa impossibilità di cambiare la batteria usurata, che di regola anticipa di molto l’usura dello smartphone. O ancora, tornando alla Apple, la scelta di ridurre a una le prese sulle ultime generazioni di smartphone, in modo che se si usa l’auricolare a filo non si può ricaricare la batteria. Insomma, ci tengono al guinzaglio. E per quanto gli smartphone siano senza dubbio utili, così diventano odiosi. Ma com’è, allora, che in questo settore non sono nati antidoti? Per esempio non esistano le “low cost” degli smartphone? Lasciate perdere chi blatera di eccezionalità tecnologiche: sono tutti prodotti simili. La colpa è dell’oligopolio feroce che Apple e gli altri hanno finora imposto. Ma è questione di tempo. Finirà: e bisogna fare il tifo.