Il car sharing sostenibile che salva le città
Share’ngo garantisce vetture a basso impatto e soluzioni intelligenti per le aziende che offrono benefit ai dipendenti ma con un occhio al portafoglio
Le città soffocano, il traffico è sempre più congestionato e gli spazi pubblici si riducono ogni giorno di più. Di fronte a quella che è ormai un’emergenza conclamata, servono provvedimenti che incentivino la mobilità sostenibile. ma servon anche offerte commerciali intelligenti a quei soggetti che possono coglierne, più del privato cittadino, la convenienza, se c’è: le aziende.
Ed è l’idea che ci piace lanciata da quelli di Share’ngo, la compagnia di car sharing contraddisinta dalle vetturette elettriche gialle che stanno diffondendosi in molte città italiane. L’idea è presto detta: per le imprese, tagliare i costi dei ticket per le zone Ztl e per i parchetti (nelle zone blu l’elettrico per ora sosta gratis) è un grande vantaggio. e la ridotta autonomia dell’elettrico sui percorsi urbani è un non-problema. Dunque, Share’ngo (nella foto l’amministratore delegato Emiliano Niccolai) propone alle aziende di registrarsi portale e indicare il nome dei dipendenti autorizzati ad usare i veicoli di Share’ngo. In questo modo si dà un taglio netto ai costi, che rientrano esclusivamente nella logica di “pay-as-you-go”. E si può dire addio alla vecchia e più costosa flotta. Il tutto, in modo ecologicamente corretto: il 28% delle emissioni complessive di Co2, infatti, dipende proprio dai veicoli diesel e benzina. Problema che le vetture elettriche ovviamente non presentano. Sarà per questo che Share’ngo ha vinto il Premio Sostenibilità 2017 per l’attivazione del primo servizio di car sharing elettrico con prenotazione tramite smatphone, pc o tablet. Entro l’anno il numero di vetture – che offrono un’autonomia fino a 100 km – in città come Milano, Roma, Firenze e Modena arriverà a 2.500.
Non ci piace, ricordiamoci come razzola chi predica
Risale al dissesto Sorgenia un buco da 600 milioni di euro provocato nelle casse senesi, la maggior singola voce di danno tra le tante
I tempi biblici delle procedure giudiziarie (e para-giudiziarie, come le commissioni parlamentari d’inchiesta) italiane hanno il pregio di riportare periodicamente a galla fatti e persone. Il che, se per gli innocenti è un ingiusto tormento, per i colpevoli (o quantomeno i furbastri) è una giusta punizione. E’ il caso di Carlo De Benedetti e della sua famiglia, che ogni tot mesi (la prima volta clamorosamente nel gennaio scorso, l’ultima qualche giorno fa) viene richiamato in ballo per il fallimento Sorgenia, che ha scaricato circa 1,8 miliardi di euro di sofferenze sul ceto bancario italiano un terzo delle quali a carico proprio del Monte. Qualche tempo fa, in un comprensibile rigurgito di orgoglio dell’anziano capo carismatico, il gruppo si produsse in un sesto grado superiore di arrampicata sugli specchi per dire che, in sostanza, Sorgenia non era affar sup perché era una jont-venture con l’austriaca Verbund (che ancora ulula per la fregatura) quando anche Giggetto il caldarrostaio sospetta che nessun austriaco avrebbe potuto avere quel che si pensava fosse il dividendo pingue della liberalizzazione elettrica, finanziata oltre ogni senso dalle banche. Un po’ come dire: “Non c’ero, e se c’ero dormivo”. Bene. Nessuno desidera e osa immaginare chissà quali nefandezze a carico dell’Immacolato. L’importante è ricordare che il mago dell’Olivetti, poi fallita; il conquistatore del Belgio, poi perso; lo scalatore dell’Ambrosiano, e sorvoliamo; colui che ha fatto prediche e predicozzi a tutto il capitalismo italiano, la tessera 1 dell’Ulivo, ebbene: proprio lui, ha beccato, e girato ad altri un bidone da 600 milioni Così, pro memoria. Alla prossima predica, sapremo la tara qual è.