Ci piace/gli aiuti (quelli veri) arrivano dalla Sace
Tra gennaio e aprile gli impieghi deliberati da Sace sono passati da 2,6 a 5,9 miliardi di euro
Guardarsi attorno e trovare un punto d’appoggio: metaforicamente, al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è andata così, quando ha realizzato – su suggerimento dei suoi uffici – che la Sace (nela foto l’a.d. Pierfrancesco Latini), oltre al Mediocredito Centrale, poteva essere lo strumento giusto attraverso il quale fra transitare una buona parte dei finaziamenti per la ripresa garantiti dallo Stato. Cos non banale, non ovvia. Perché su tratta di strumenti due volte complicati: una prima volta, perché devono sottostare alle regole sul merito creditizio cui le banche direttamente coinvolte nelle varie operazioni si attendono; la seconda volta perché impegnato il patrimonio dello Stato quando verrà il momento dei rimborsi e le imprese affidate dovessero rivelarsi insolventi. Una complessità insieme operativa e istituzionale. Sta di fatto che tra gennaio e aprile scorso sono passati da 2,6 a 5,9 miliardi di euro gli impegni deliberati da Sace, segnando un incremento del 130% rispetto all’anno precedente, che si traducono in sostegno al business delle imprese italiane nei mercati esteri. Un trend di crescita, spiega la stessa società, confermato anche dal numero di operazioni supportate (+17%) e dal confronto mese su mese, con 700 milioni aggiuntivi realizzati tra aprile e marzo, nonostante la congiuntura economica. Ma il dato sensibile è anche un altro. E cioè che nonostante la contrazione dell’economia nazionale (l’ultimo Def parla di un Pil in calo del 9%), è in aumento anche il numero di imprese sostenute (+3% rispetto ad aprile 2019), in particolare del segmento delle Pmi, pari a oltre l’80% del totale delle aziende servite.
Non ci piace/il pacco di Amazon è quello fiscale
Nel 2019 il colosso digitale ha pagato in tasse 2,4 miliardi di dollari: meno dell’1% rispetto al suo fatturato
Meno male che c’è Amazon. Meno male che c’è un colosso digitale che ha assunto negli anni quasi 900 mila persone nel mondo. Di cui quasi 8000 in Italia. Meno male. Ci è servita tantissimo, durante il lockdown, Amazon. Meno male. Peccato, però, che un simile colosso, che la sua forza e grandezza è costruita scientificamente sull’elusione fiscale globale. Per capirci, e stando ai dati ufficiali dichiarati, su 280,5 miliardi di dollari di fatturato, Amazon ha pagato nel 2019 in tutto il mondo 2,4 miliardi di tasse. Avete letto bene: meno dell’1 per cento. Bravi a consegnare i pacchi, ma al fisco – anzi agli erari fiscali di tutto il mondo – consegna soprattutto “pacchi” alla genovese, bidoni insomma. Per carità, “possiamo spiegare” hanno detto in Amazon Italia, quando nel 2017 hanno firmato una transazione col fisco italiano versando a titolo di “saldo e stracio” la miseria di 100 milioni di euro per regolarizzare gli anni di attività fino al 2015. “Possiamo spiegare”, come i mariti fedifraghi dei film. E spiegano che “In Italia nel 2017 ha sanato 5 anni con l’erario versando 100 milioni di euro. In una nota l’azienda dice che «i nostri profitti sono rimasti bassi sia perché il consumer retail è un business con margini ridotti sia per i forti investimenti di Amazon in Italia che ammontano a oltre 4 miliardi di euro. Le società con cui Amazon opera hanno ricadute in termini di gettito sia a livello locale sia a livello nazionale attraverso Iva, Irpef, Ires, Irap, Tasi, Tari». Insomma, dei benefattori. La verità è diversa. In Gran Bretagna, dove il governo ha imposto trasparenza, lo scorso anno Amazon ha pagato 956 milioni di euro (in sterline). A quando una moralizzazione anche in Italia?