di Andrea Braglia, Ceo di Aequilibrium
In un’epoca dominata da continue incertezze finanziarie (Covid prima e poi guerra russa), estrema volatilità dei mercati ed interventi d’emergenza delle Banche Centrali mondiali, per fronteggiare l’attuale tsunami finanziario, forse faranno breccia le parole del Presidente Consob Paolo Savona, pronunciate in occasione dell’ultima assemblea Consob?
L’ex ministro è stato chiaro: “c’è la necessità di costruire portafogli che auto-proteggano i risparmiatori dall’inflazione, nel cui ambito gli investimenti in titoli di proprietà svolgano una funzione primaria”.
Le parole del Presidente Savona sono eloquenti e non lasciano alcun dubbio di interpretazione, ovvero auspica che finalmente, anche in Italia, le soluzioni di investimento alternative possano rappresentare una valida alternativa alle asset class finanziarie tradizionali.
Per farlo, occorre superare quella “cortina di ferro” che impedisce ai risparmiatori di utilizzare questi strumenti: occorre, quindi, superare il “muro di gomma” che il mondo bancario/finanziario oppone agli investimenti alternative, dal momento che non garantiscono la medesima redditività degli strumenti finanziari tradizionali, in primis i Fondi.
Il mercato finanziario italiano potrebbe fare un’importante “salto di qualità” e i risparmiatori sarebbero più tutelati – se gli alternative venissero utilizzati, non solo per proteggere gli investimenti dei clienti, ma anche per diffondere “cultura finanziaria”. Ma al contrario, si perpetua l’utilizzo di strumenti finanziari inefficienti e costosi, quali Fondi, Gestioni patrimoniali, Polizze unit-linked, che rispondono più ad una logica di finanza commerciale, che di finanza d’investimento. Chi ci guadagna? Solo le Banche e non certo i risparmiatori.
Gli alternative hanno dimostrato, in tutte le crisi finanziarie degli ultimi 50 anni, di essere soluzioni di investimento decorrelate dai mercati finanziari tradizionali, ovvero slegate dall’andamento degli indici azionari, obbligazionari e valutari: sono soluzioni che “vivono di vita propria”, dal momento che non si tratta di investimenti finanziari, bensì in economia reale, ovvero in mercati di nicchia (come ad esempio il mercato immobiliare del Lussemburgo), o in mercati con barriere all’entrata (come il mercato mondiale del trade finance, o quello del commercio internazionale delle materie prime).
A prescindere dalle caratteristiche dei mercati nei quali investono, si tratta sempre di investimenti in economia reale e per questo del tutto indipendenti dal trend dei mercati finanziari tradizionali: questo significa che sono in grado di proteggere i Portafogli finanziari dei risparmiatori ed offrire rendimenti maggiori rispetto ai mercati finanziari classici.
Per questi motivi gli alternative, all’estero, nei Portafogli dei clienti Istituzionali, hanno un peso del 25% -30%, mentre in Italia la percentuale è compresa tra 2% e 3%, nei Portafoglio dei clienti private.
Insomma: in Italia, alternative questi sconosciuti.
Per favorire una più rapida e consapevole diffusione degli alternative tra i piccoli risparmiatori italiani, è inoltre necessario sfatare alcuni miti: non sono soluzioni di investimento destinate ad investitori con Portafogli di milioni di euro, dal momento che possono essere sottoscritti anche per importi minimi di 125.000 € e possono avere un orizzonte temporale di investimento anche di 24/36 mesi, nell’arco del quale si incassano cedole predefinite trimestrali\semestrali.
Non è inoltre vero che tutti gli strumenti alternative sono illiquidi, dal momento che ci sono, ad esempio, Fondi con Nav/quotazioni mensili, che consentono agli investitori di acquistare/vendere una volta al mese l’investimento sottoscritto: analizzando ancora meglio la situazione italiana, è bene evidenziare che quanto viene identificato come alternative, in realtà non ha nulla a che fare con gli “alternative originali”, spesso di matrice anglosassone, che nel nostro paese non sono conosciuti e di conseguenza non vengono proposti ai risparmiatori.
Quelli italiani, sono “alternative rivisitati” e spesso “confezionati” con logiche commerciali e con caratteristiche che nulla hanno a che fare con il know how e l’ingegneria finanziaria degli strumenti alternative originali, strutturati invece da Asset manager e Gestori europei indipendenti
Cosa serve? Finalmente indipendenza. Gli Asset manager indipendente europei, strutturano gli alternativi per sé e per i loro clienti, senza avere alcun rapporto di distribuzione con Banche ed altri players finanziari.