di Andrea Granelli
Barbara Carfagna esordisce in una delle sue riflessioni su ChatGtp con la seguente affermazione: «Probabilmente Adriano Olivetti solo oggi vedrebbe il suo sogno realizzarsi pienamente; quando, all’inizio degli anni Sessanta prese la decisione di sviluppare un “computer da tavolo” voleva che ogni individuo potesse creare quello che solo una grande azienda poteva progettare. ChatGpt di OpenAI…».
Parlare di ChatGpt in modo obiettivo, equilibrato e definitivo è molto difficile non solo per la complessità e articolazione della materia, ma anche perché la stiamo osservando in opera da poco; abbiamo appena incominciato a capirne e prefigurarne possibilità e implicazioni. Ma su una cosa sono certo: è davvero molto pericoloso azzardare valutazioni precise e giudizi tranchant. Oltre ad essere imprecisi, se non in errore, si rischia di cadere in un confronto ideologico che alla fine si riduce nelle due polarità dei tecnofan e dei tecnofobici, degli amanti del futuro e dei retrogradi.
Fatte queste doverose premesse, non si può non rimanere affascinati e colpiti dalla potenza ed efficacia di ChatGtp. La vera questione, io credo, è però identificare il tipo di utilizzo che è giusto fare, i benefici che può ragionevolmente portarci e le criticità ad oggi prevedibili che una tecnologia così potente può causare.
Partiamo dalla fine: nonostante la sua relativamente breve vita operativa, ci sono già manifestazioni evidenti di abusi di questa tecnologia. Per esempio la fotocopia digitale: sono già apparsi siti e applicazioni creati a perfetta immagine e somiglianza di siti reali, che consentono ai criminali di carpire informazioni personali anche a utenti esperti, che non si rendono conto di essere su un sito fake. Ma questo meccanismo va oltre e sfrutta le potenzialità dell’intelligenza artificiale, arrivando addirittura a costruire landing page e contenuti aggiornati nel tempo. E ciò grazie alla capacità di ChatGpt di creare testi non solo grammaticalmente corretti ma anche sofisticati e in linea con lo stile editoriale del sito. Anche la creazione seriale di mail personalizzate è un compito semplice per ChatGpt. Quello che colpisce è la estrema facilità con cui queste azioni vengono condotte, aspetto che fa presagire una futura invasione di siti fake.
Vediamo ora le possibili applicazioni che si possono auspicabilmente prefigurare, tenendo ovviamente in mente queste possibili derive negative. Ne vedo in particolare tre.
Innanzitutto, come strumento di apprendimento per imparare a considerare possibili opzioni rispetto a quelle che ci vengono in mente e a estendere, quindi, la nostra capacità di inquadrare un problema in tutti i suoi aspetti. Sarebbe interessante poter costruire dei veri e propri dibattiti con ChatGpt a fini educativi (molti già si esercitano con i programmi di scacchi). Come ci ricorda infatti un retore medioevale, «nessuna verità può essere veramente capita e predicata con ardore se prima non sia stata masticata dai denti della disputa».
In secondo luogo, come strumento per simulare possibili alternative a un’ipotesi progettuale a cui si sta lavorando. Anche se queste alternative sono teoriche o perfino impossibili, la loro analisi aumenta la nostra consapevolezza sul tema, ci forza a entrare in profondità e capire meglio il contesto che stiamo analizzando.
Infine, per aumentare la nostra efficienza, producendo semilavorati che però devono essere integrati da un attento lavoro sia sui contenuti che sullo stile, soprattutto integrando elementi mancanti o togliendo affermazioni o argomentazioni che sono irrealistiche o lontane dal nostro punto di vista.
Se usato in maniera opportuna, dunque, questo strumento può rafforzare le nostre competenze, capacità cognitive e qualità argomentative. Non dobbiamo mai cadere, però, in affermazioni generiche o irrealistiche né in uno stile anonimo e universalizzante, perdendo le nostre specificità culturali. L’ultima parola deve essere sempre la nostra.
È giusto, dunque, buttarsi nella mischia di ChatGpt: come ci ricorda Friedrich Hölderlin in uno dei suo Inni: «Dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva». Non dobbiamo, però, mai staccare il pensiero critico, facendo nostro un suggerimento di un intellettuale di rango, il grande scrittore Hemingway, che, intervistato nel lontano 1954, affermò come era solito fare in modo caustico: «Every man should have a built–in automatic crap detector operating inside him» (“Ogni uomo dovrebbe avere un rilevatore automatico di schifezze incorporato che opera al suo interno”).