Certificazioni, patenti di qualità per poter guidare nei mercati

Un carburante che migliora la competitività dell’azienda, e può rendere molto più di quel che costa. È la certificazione che attesta il rispetto delle norme UNI, l’Ente Nazionale Italiano di Unificazione, associazione privata senza scopo di lucro riconosciuta dallo Stato e dall’Ue, che da quasi un secolo elabora e pubblica norme tecniche volontarie in tutti i settori industriali, commerciali e del terziario. L’UNI partecipa per l’Italia all’attività degli organismi internazionali di normazione CEN a livello europeo, e ISO a quello globale. Secondo una recente ricerca ISO, il rispetto delle norme tecniche attestato dalla certificazione vale fino al 50% del fatturato aziendale e circa il 10% della redditività, con un vantaggio maggiore nelle aziende più piccole. A fronte di questo grande potenziale, qualche centinaio di euro per l’acquisto delle norme e qualche migliaio per la certificazione, a seconda della dimensione dell’impresa, sono in fondo poca cosa. La rispondenza alle norme permette di ridurre i costi, aumentare la qualità e la sicurezza, minimizzare l’impatto sull’ambiente, avere rapporti più chiari con fornitori e clienti. Per le microimprese e le Pmi, in particolare, significa aumentare le conoscenze tecniche, fare innovazione e ampliare il proprio mercato, oltre a rispettare più facilmente gli obblighi di legge. Nei Paesi europei in cui l’applicazione delle norme tecniche è più diffusa e consolidata, vale a dire Germania, Francia e Gran Bretagna, i positivi effetti indotti dalla normazione sono quantificati tra lo 0,3% e lo 0,8% del PIL, pari a oltre 17 miliardi di euro per la sola Germania. 

Se le norme tecniche definiscono i requisiti da rispettare, la certificazione attesta che esse vengono realmente rispettate

Le norme tecniche sono per loro natura volontarie, ma quando vengono richiamate in provvedimenti legislativi possono diventare obbligatorie. «La normazione è un’attività di autoregolamentazione del mercato dal basso – dice l’ingegner Ruggero Lensi, direttore generale di UNI – i mercati definiscono dove porre l’asticella della qualità di servizi, lavoratori, aziende anche pubbliche. Lo Stato interviene principalmente laddove in sede europea o nazionale si voglia tutelare la sicurezza o la salute del cittadino: allora le prescrizioni diventano cogenti. In questi casi spesso lo Stato fa riferimento a norme che nascono volontarie, renedendole di fatto cogenti. Un esempio tipico è quello della normativa antincendi». I due ambiti principali nei quali le norme tecniche diventano obbligatorie sono quello della sicurezza degli impianti domestici, elettrici e a gas, che è garantita dalla conformità alle norme come prescritto dalla legge 46/90; e quello della sicurezza sul lavoro, come stabilito dal decreto legislativo 81 del 2008, che riguarda tutti i dispositivi di protezione individuale, dalle scarpe ai guanti, dall’elmetto ai caschi antirumore e così via. Altri esempi di cogenza delle norme tecniche riguardano le aziende che concorrono a una gara d’appalto, che devono rispondere alle norme ISO 9001, e i giocattoli, che devono essere conformi alle norme UNI EN 71. Spesso poi sono le stesse imprese a richiedere la certificazione ai loro fornitori: in questo caso è l’accordo tra due privati a rendere di fatto obbligatoria la conformità alle norme tecniche. «Succede spesso nel B2B, ma purtroppo molto meno nel B2C. I consumatori sono poco inclini a richiedere prodotti conformi alle norme tecniche, non c’è cultura della volontarietà» dice Lensi. In certi campi nei quali non c’è l’obbligo del rispetto delle norme tecniche sarebbe utile una maggiore informazione ai consumatori sull’importanza di acquistare prodotti certificati, e quindi di maggiore qualità e affidabilità, sicuri, sani e rispettosi dell’ambiente. Un esempio significativo a tal proposito è quello dei passeggini.

L’Italia nelle certificazioni è avanti: ad esempio negli iso 9000, i sistemi di gestione per la qualità, nel mondo siamo secondi solo alla cina 

Le norme tecniche definiscono i requisiti da rispettare, mentre la certificazione attesta che effettivamente quella determinata attività, o quello specifico prodotto, rispetta i requisiti delle norme. La certificazione è dunque una procedura con cui una terza parte indipendente dà assicurazione scritta che un prodotto, un servizio, un processo o una persona è conforme ai requisiti specificati. Riguarda in particolare i sistemi di gestione per la qualità (UNI EN ISO 9001); per l’ambiente (UNI EN ISO 14001); per la sicurezza delle informazioni (UNI CEI ISO IEC 27001); e per la sicurezza alimentare (UNI EN ISO 22000). «La certificazione è operata da organismi privati in regime di concorrenza – spiega ancora il direttore generale di UNI – non c’è un ente unico ma la libera operatività del mercato che verifica la conformità degli standard alle norme. Per assicurare che sia omogenea in tutti i Paesi in Europa e nel mondo esiste un organismo di accreditamento, cioè di qualificazione degli organismi di certificazione. In Italia a verificare la corretta modalità operativa degli enti di certificazione è Accredia». A loro volta, gli enti di accreditamento operano nel quadro di riferimento normativo dettato dalle norme UNI CEI EN ISO IEC 17000, che definiscono i requisiti di professionalità e di competenza richiesti agli organismi di certificazione di prodotti, di sistemi di gestione, del personale, di ispezione e per i laboratori di prova e taratura. Queste norme vengono definite dal comitato ISO/CASCO (Committee on Conformity Assessment), che in Italia è interfacciato dall’apposita commissione tecnica mista UNI CEI “Valutazione, attestazione e certificazione della conformità”.

La diffusione delle certificazioni in Italia riserva una sorpresa, come spiega ancora l’ing. Lensi: «Nel sentire comune c’è l’idea che i nostri prodotti siano ottimi, ma le nostre aziende non siano organizzate come per esempio quelle tedesche. Ma la situazione delle certificazioni è capovolta: abbiamo tante aziende certificate, ma pochi prodotti. La certificazione dei sistemi in Italia è molto diffusa, siamo secondi al mondo dopo la Cina negli Iso 9000 sui sistemi di gestione per la qualità, molto più avanti di Germania, Regno Unito, Stati Uniti… Stranamente dove manchiamo è sul prodotto. Il fatto è che la certificazione aziendale spesso è cogente, mentre quella di prodotto è fondamentalmente volontaria. In Italia insomma manca la cultura della certificazione di prodotto, che all’estero è invece più diffusa».

Export: ma dove vai se la certificazione non ce l’hai? 

Una maggiore facilità non solo nel rispetto dei requisiti di sicurezza imposti dalla legge, ma anche nell’accesso ai mercati esteri. Sono i primi due benefici del rispetto delle norme tecniche a giudizio delle aziende di tre diversi settori, ascensori, arredamento e macchine utensili per la lavorazione dei metalli, secondo quanto emerge da uno studio dell’Istituto per la ricerca sociale (Irs). La spinta all’internazionalizzazione è in particolare il beneficio più apprezzato dalle aziende dell’arredamento. «Per poter vendere all’estero la certificazione è molto importante – spiega l’ing. Ruggero Lensi, direttore generale di UNI – in tanti paesi se non hai la certificazione, in Europa con le norme EN e nel mondo con quelle ISO, non riesci a esportare. Il tuo concorrente tedesco sicuramente è certificato, o lo fai anche tu oppure non ce la fai». Al terzo posto tra i benefici della normazione apprezzati dalle aziende figura la semplificazione del corretto svolgimento delle attività d’impresa. Qualcosa che ricorda i principi della Lean industry, la produzione “snella” che è premessa fondamentale per implementare con efficacia i criteri di Industry 4.0: «infatti UNI è stato partner fin dall’inizio del piano Industria 4.0, anche in relazione alla collaborazione con Francia e Germania» dice Lensi.