Il private debt è forse l’asset class meno conosciuta nell’ambito del vasto mondo del private capital. È una attività che sta crescendo molto all’estero e in Italia e che offre risposte interessanti alle imprese in cerca di capitali. Nel primo semestre di questo anno ha registrato tassi di incremento significativi, pur in un contesto di tassi di interesse contenuti offerti dal settore bancario.

Come riportano i dati pubblicati da Aifi-Deloitte, è cresciuto nella raccolta, nelle operazioni e ì nei rimborsi, superando di molto i livelli pre-pandemia. Oltre la metà del numero di investimenti è finalizzato allo sviluppo aziendale, il che significa che un ruolo importante per l’economia reale questo strumento ce l’ha. I fondi che operano nel private debt, non si limitano a supportare finanziariamente l’impresa ma la accompagnano con una attenta supervisione al piano industriale di crescita e mettendo a disposizione la propria professionalità per permettere alla società di inserirsi in un percorso che sia di sviluppo o di consolidamento. L’attività di tali operatori si concentra su aziende sane che necessitano di un “compagno di viaggio” che conferisca i mezzi necessari per fare un salto e che supporti nuovi approcci al mercato, per porsi in modo differente e innovativo. Ma ci sono anche fondi di debito specializzati in operazioni di ristrutturazione, attività preziosa soprattutto in questo periodo in cui imprese con una storia di solidità si trovano a gestire una congiuntura critica anche a causa della specificità del proprio business, ma hanno ancora un grande potenziale. I numeri del primo semestre segnalano che la raccolta è triplicata, raggiungendo 642 milioni di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente quando erano 209 milioni.

Tale dato rappresenta il valore più alto mai registrato non solo in un singolo semestre, ma anche se confrontato agli interi anni passati. Questo segnala un interesse degli investitori verso questa asset class che ha dato buone soddisfazioni in termini di rischio rendimento. È aumentata l’attività di fundraising di questi operatori, che così hanno più capacità di investire su un maggior numero di imprese. Sul fronte degli impieghi, nella prima parte dell’anno sono stati investiti 769 milioni di euro, +74% rispetto al primo semestre del 2020. Anche in questo caso, si tratta del semestre con i valori più alti mai registrati dall’avvio del mercato, testimoniando una crescita significativa, anche paragonata agli anni precedenti la pandemia. Le statistiche Aifi-Deloitte segnalano che quest’anno sono stati censiti 12 fondi attivi nel mercato del distressed debt (che intervengono su aziende in tensione finanziaria). Per avere uno sguardo di insieme sulla loro attività, segnaliamo che, a partire dal 2018, questi operatori hanno investito 2,3 miliardi di euro in operazioni aggregate, tramite acquisto di pacchetti di crediti scaduti ceduti da banche, relative a oltre 5mila società e 4,2 miliardi di operazioni cosiddette single name in 80 imprese attive in vari settori, tra cui spiccano quello dei beni e servizi industriali e quello dei trasporti/shipping. Il fatto di poter contare su nuove possibilità di finanziamento è molto importante anche a livello di sistema, basti pensare che parliamo di aziende con un numero medio di dipendenti pari a 178 e un fatturato medio attorno ai 60 milioni di euro, qui di medie imprese, spesso realtà cruciali per i nostri territori.

I dati sono incoraggianti e dimostrano la necessità, nel nostro Paese, di operatori che operino sul debito alternativo. Bisogna senz’altro aumentare la potenza di fuoco di questi operatori, catalizzando capitali istituzionali e privati. Bisogna permettere a questo comparto di crescere moltiplicando le iniziative di investimento; solo così si potrà avere un sistema articolato e predisposto a operare più capillarmente e in maniera vasta, sulle tante imprese che oggi stanno riavviando i motori dopo un periodo di stasi.