Se il servizio è pubblico ma il business è privato

Teorema: la società Rossi contrae un debito con la società Bianchi, non lo rimborsa – come non ne rimborsa molti altri – finché finisce in default e va in procedura fallimentare. Il tribunale – per valutazioni varie, di natura definibile in senso lato “politica” – avalla un concordato preventivo in base al quale ad alcuni creditori (tra cui la società Rossi) viene negato il rimborso dei loro crediti. La Società Rossi si oppone per vie legali all’accordo e ne chiede alla magistratura la revisione. La sentenza è in arrivo: si vedrà cosa accadrà di questa richiesta, se verrà accolta o respinta. Fin qui, tutto proceduralmente normale.

La stranezza (chiamiamola stranezza!) scatta quando la società Bianchi, la debitrice che stava fallendo, preannuncia alla società Rossi che se dovesse produrre, con la sua opposizione all’accordo, “ritardi o impedimenti della corretta esecuzione dei concordati preventivi omologati”, la citerà per danni per circa mezzo miliardo di euro.

Spieghiamoci bene: il debitore minaccia il creditore, diffidandolo dal tutelare i suoi diritti davanti alla legge. Cioè diffidandolo dall’esercitare un proprio diritto. Una minaccia, appunto; interdizione violenta, un affronto al diritto di ogni cittadino di adire all’autorità giudiziaria contro quello che considera la violazione di un proprio diritto.

Tradotto: un tentativo di ricatto.
La stranezza si chiarisce dando i nomi veri a questo esempio: la società che minaccia sono in realtà due, la Moby e la Cin, che facevano capo alla famiglia Onorato. Dopo anni di gestione a dir poco pessima, si sono ritrovate sulla soglia del fallimento, con quasi 600 milioni di debiti e una gestione in perdita secca. Protette, però, da uno “scudo umano” di circa 5000 dipendenti, hanno raccolto una sollecitudine estrema attorno a sé, che dapprima ha sortito un allungamento dei tempi della procedura e poi si è risolta nell’intervento di un cavaliere bianco molto ricco: il gruppo svizzero della famiglia Aponte, Msc. Aponte è molto interessato più che ai cocci della vecchia flotta Tirrenia, appunto contenuta nella Cin, e delle vecchie navi Moby, al mercato dei traghetti in Italia, dove già opera con Gnv.

Aponte, offrendo appena 150 milioni contro i 600 di debiti delle due società, si prepara ad assumerne formalmente solo il 49% della proprietà lasciando – sempre formalmente – ai comandi col 51% la famiglia Onorato, ma in sostanza prendendo il timone di tutto. Il tribunale ha omologato il concordato; il Gruppo Grimaldi, che da solo vanta circa 180 milioni di euro di crediti verso Moby e Cin, si è opposto per vie legali, ovviamente più che legittime.

Concorrenza sleale
Vari gli argomenti di quest’opposizione, ma il punto giuridico prevalente è molto grave: il tribunale ha omologato l’ipotesi di concordato che dà a Msc il predominio nel mercato dei traghetti in Italia senza minimamente curarsi del profilo anticoncorrenziale dell’operazione né dei suoi effetti punitivi verso i creditori.

Sarebbe stato possibile perseguire strade diverse tutelando l’occupazione ma insieme ristorando in modo più ampio tutti i creditori ed estromettendo del tutto dalla gestione futura i responsabili del dissesto di ieri, peraltro impietosamente rivelati come tali dalle carte stesse della procedura? Certamente sì: sarebbe stato possibilissimo, se solo i responsabili della procedura avessero perseguito le strade alternative che pure si presentavano. Per ora è andata diversamente.

La legge riserva ancora spazi di tutela ai creditori bidonati. E il debitore che sta per farla franca manda in giro minacce. Non è la prima volta che lo fa, nella lunga vicenda del suo declino.

Condannati e resistenti
“È molto singolare che degli armatori condannati in primo, secondo e terzo grado dal Tribunale di Milano per concorrenza sleale – rileva il Gruppo Grimaldi in una nota – avendo, tra vari atti criminosi, abusato della propria posizione dominante sui traffici marittimi tra Italia Continentale e Sardegna, e che sono attualmente indagati dalla Magistratura per condotte penalmente rilevanti, possano minacciare un creditore il quale diligentemente cerca di recuperare parte dei propri crediti e tutelare gli interessi dei propri azionisti.

È sconcertante che degli armatori che si ostinano ancora a non pagare allo Stato Italiano buona parte del prezzo per l’acquisto della Tirrenia ed i cui avvocati hanno pretestuosamente rallentato per anni l’iter giudiziale nella suddetta controversia con il Gruppo Grimaldi, continuino ad usare metodi minacciosi nei confronti di un creditore.

Pare evidente che la strategia dei vertici di Moby e CIN sia quella di sottrarre asset attraverso la creazione di nuove società, a danno dei vari creditori, tra cui anche il Gruppo Grimaldi. Si renderebbe così impossibile il risarcimento al gruppo napoletano, non solo per danni subiti dalle proprie navi durante il noleggio a Moby-CIN, ma soprattutto per quelli provocati a seguito dell’accertata concorrenza sleale e dell’abuso di posizione dominante che hanno contraddistinto l’operato di Moby-CIN sui traffici da e per la Sardegna.

È paradossale che l’accertato colpevole dei delitti di concorrenza sleale ed abuso di posizione dominante, minacci ed accusi la vittima dello stesso reato per il quale è stato condannato dalla giustizia italiana. Siamo davanti all’ennesima stravaganza di Moby-Cin”.