«Sono stati vent’anni vissuti pericolosamente, in modo entusiasmante. E di successo!»: Carlo Maria Capè, l’azienda di consulenza fondata nel 2003 da Carlo Capè, Fabio Troiani e Nino Lo Bianco, tuttora presidente, insieme ad un gruppo di partner provenienti da altre esperienze nelle “big” del settore). “Nati liberi”, recita uno dei loro claim, e i fatti lo confermano. «Quando partimmo non sapevamo che il 2003 sarebbe stato un cigno nero, per la consulenza – racconta Capè – Assorbita la transizione dell’euro, superato il panico da baco del 2000, la fioritura di iniziative che aveva scandito questi grandi appuntamenti era rientrata, e il crac della Arthur Andersen a seguito del caso Enron, con 80 mila professionisti in libera uscita, aveva scosso il mercato. Tra le big, Deloitte fece la parte del leone, assorbendo molti di quei profughi. Noi partimmo in 50, uscendo proprio da Deloitte. Oggi, vent’anni dopo, siamo cinquemila nel mondo».

Faceste un accordo con gli americani, spinoffando alcuni clienti soprattutto dei settori energy e telco, e partiste. E il decreto Letta fece partire un boom proprio nell’energy!

Sì, iniziammo a selezionare alcune persone chiave, insieme a Nino incontravamo i  candidati, che nonostante fossimo una startup si presentarono in tanti. Si fidavano di noi e credo gli piacesse molto la nostra sede, qui in piazza San Babila, dove siamo tuttora. Lavorammo tutta l’estate di quel 2003 bruciante e ricordo – sembra una vita fa! – un incontro chiave per noi con i due soci fondatori di Engineering, Michele Cinaglia e Rosario Amodeo, che ci diedero la finanza necessaria per avviare la società, e quindi la possibilità di decollare, in cambio del 51% di Bip. Infatti dopo 4 anni ci ricomprammo le quote, indebitandoci con le banche perché ormai il giro d’affari ci permetteva di farlo..

Poi magari torniamo al passato, ma veniamo all’oggi. Come vi vedete tra altri vent’anni?

Ci vediamo in un mondo nuovo, che le nuove tecnologie hanno appena iniziato ad aprire. Ad esempio, i computer quantici, consentono modelli-pilota che ti fanno fare cose inimmaginabili. Quando hai una velocità di calcolo milioni di volte superiore a quella attuale, puoi ottenere risultati straordinari in tutto. E questo è un gran bene per il sistema, perché un Paese prospera se accresce la sua competitività e con questa tecnologia accade, e l’Italia può esserci. Col quantum computing è come fare, in un colpo, 20 anni di salto in avanti. Ma bisogna saper cambiare il proprio modo di ragionare. 

Come se non bastassero le transizioni in essere, quella climatica, quella energetica, quella del metaverso… ancora stress per i poveri imprenditori, e pane per voi consulenti!

È una fase storica di grande impegno. Ma veda: prendiamo la digitalizzazione. Ormai va vissuta come una maturità di tecnologie esponenziali, per cui ogni 2-3 anni c’è una specie di rivoluzione. La prossima è già iniziata e, direi: più che il metaverso è l’evoluzione dell’intelligenza artificiale che ha ormai raggiunto anche l’uomo della strada, i ritmi evolvono con la potenza del computer, nonostante la regolamentazione non riesca a seguire il passo. E poi il mercato tutto, nel suo insieme, procede ormai per crisi successive. Ma c’è la consapevolezza, ormai, che i servizi di consulenza sono la chiave per gestire questa accelerazione del cambiamento, che da evento puntuale diviene un modo permanente di vivere. Non solo nell’energia: tutto si sta trasformando. Con criticità e intralci. C’è stata la pandemia, ora la guerra, l’inflazione, il caso tassi… Eppure tutto procede, e se il Pil rallenta il mercato della consulenza cresce del 15%!

Torniamo ai flash-back. Partiste forti con energy e telco. Ma con quale filosofia? Cioè: perché i clienti avrebbero dovuto scegliere proprio Bip?

In quella fase di bassa reputazione della consulenza abbiamo fatto da subito tre cose. Innanzitutto, ci siamo posizionati tra il business e la tecnologia, perché avevamo compreso l’angoscia dell’imprenditore nel non sapere come adattare al business le nuove tecnologie ineludibili; poi abbiamo stressato le nostre già forti competenze su quelle due industries, energia e telco; e poi ci siamo focalizzati quasi maniacalmente sui risultati da portare ai clienti, perché alla fine soltanto facendo molto bene si accresce la propria reputazione.

E dunque nel 2007 vi ricompraste l’azienda. Ma nel 2008-2009, altra batosta: la crisi Lehman e il crollo delle Borse!

Sì, ma la vita è un insieme di contingenze spesso imprevedibili. In quell’anno di crisi nera individuammo la nostra prima acquisizione, la società romana Ars et Inventio, superspecializzata nell’innovazione – proprio nella filosofia dell’innovazione – che aveva codificato 60 metodi proprietari preziosi per innovare, utilissima per trovare nuovi clienti e distinguerci come capacità innovativa. Ci ha reso pionieri dell’open innovation, quando ancora la praticavano in pochi. E dunque nel 2009 il mercato scendeva del 10% e noi crescevano del 5%. Ricordo un ritiro, a Rapallo, con il team di Ars et Inventio, su come innovare noi stessi, come cambiare Bip. Fu come entrare in una straordinaria incubatrice tecnologica, dove impostammo tutta la strategia poi messa a terra negli anni successivi. Partimmo con la parte dati e intelligenza artificiale, poi con la cybersecurity, abbiamo inventato tantissimi nuovi servizi che ci hanno fatto crescere molto più di prima, rispetto al 3% medio di crescita del settore siamo passati al 20-25% all’anno, proprio perché avevamo nuovi metodi e nuovi team.

 Ma eravate ancora italiani e basta… 

E infatti nel 2014 è iniziata la terza fase della nostra storia, quella dell’ingresso dei fondi di private equity e della nostra forte internazionalizzazione. Ci siamo detti: ora dobbiamo uscire dalla zona di confort italiana. Sì, eravamo già presenti all’estero, ma solo in Spagna e qualcosa in Brasile. Ma abbiamo deciso di puntare forte sull’estero attraverso le acquisizioni: la consulenza non può andare oltre confine trasferendo persone, come accade in altri settori. E per finanziare queste acquisizioni abbiamo cercato fondi di private equity che sostenessero il nostro progetto. Incontrammo un fondo svizzero-tedesco, Argos Soditic, che ci diede l’equity per iniziare le acquisizioni. Con loro, rafforzammo il Brasile, acquisimmo Open Knowledge e Sketchin, quest’ultima in Svizzera, e accelerammo la crescita. Nel 2018 Argos Soditic uscì ed è entrata Apax France, dopo una gara. Con Apax abbiamo fatto altre cose molto importanti, due o tre colpi internazionali davvero forti, insediandoci in UK con ben 400 persone, sviluppando la Spagna con 30 professionisti provenienti da Kpmg, facendo crescere il Brasile dove siamo arrivati ad essere 500. Insomma tutto è andato talmente bene che Apax ha voluto realizzare il suo investimento e, sempre dopo una gara, è arrivato il nostro attuale partner di private equity, il fondo “large cap” Cvc. Sono grandi, ma molto dinamici. Sono arrivati a fine 2021, e già nel 2022 abbiamo fatto due operazioni importanti in Usa e Gran Bretagna. Oggi in Nordamerica abbiamo 200 persone ma vogliamo crescere ancora e progettiamo di entrare in Francia e in Germania e fare alcune acquisizioni strategiche in tutti gli altri mercati dove operiamo.

Diversificando intanto i settori, ben oltre l’ambito originale dell’energy e delle telco…

Certo, abbiamo diversificato. Nel 2007 introducemmo i financial services, nel 2012 abbiamo aggiunto la pubblica amministrazione, che ora è quasi al 20%. Poi due nuovi settori molto promettenti: life science e retail di lusso, un settore strano, molto resiliente nel lungo periodo, perché il suo pubblico non ha mai smesso di comprare. Lusso vuol dire fashion, orologi, gioielli. Stiamo aprendo in Francia anche per essere vicini ai nostri clienti in questo settore.

E intanto Bip è diventata una specie di accademia della consulenza, reclutando tanti giovani di talento, in un regime di forte turnover. 

Siamo conosciuti per essere una buona scuola professionale, ed effettivamente negli ultimi anni stiamo facendo oltre 1000 assunzioni all’anno, con un saldo attivo annuo di 600-800. Oltretutto lavoriamo molto insieme alle università e crediamo nella collaborazione con le istituzioni. Io stesso tengo un corso a Ingegneria, a Milano, per formare consulenti e gestiamo vari master in data science, cybesecurity ed energy… Assumiamo per il 30% ingegneri, per il 50% economisti, e per il 20% altre competenze, anche non-stem…

 competenze, anche non-stem…

E la filosofia di fondo?

Non è mai cambiata: innovazione, risultati, reputazione, indipendenza.