L’incremento del prezzo del gas e la sua volatilità, con l’impatto della crisi energetica su imprese e famiglie, hanno messo sotto pressione finanziaria ed economica le utilities, evidenziando le fragilità dei loro modelli di gestione e sviluppo. Difficile prevedere quanto durerà l’emergenza e se gli interventi che i governi, l’Unione Europea e le banche centrali stanno studiando per fronteggiarla saranno efficaci e riusciranno a salvare gli attori in maggiore difficoltà: si sono già visti diversi fallimenti in Europa. In questa intervista a Economy, Guido Zanetti, managing director di Protiviti ed esperto di energy, avvisa: le utilities devono cambiare, investire e innovare, imparando a vedere il proprio asset più importante non nell’energia ma nel portafoglio clienti. Ora o mai più: il rischio è soccombere.

La grande crisi finanziaria del 2008 accelerò la trasformazione del banking, la grande crisi energetica del 2022 potrebbe far accadere la stessa cosa nelle utilities?
Il settore energetico non è quello finanziario, ma è comunque davvero centrale, oltre a essere capillare e necessario per tutta la nostra industria. Purtroppo abbiamo già visto diversi fallimenti in Italia, per ora di realtà piccole, e in altri Paesi europei. La normativa locale gioca un ruolo importante poiché, come sappiamo, il Vecchio Continente si muove in maniera destrutturata. Il Regno Unito, per esempio, ha definito un price cap alla vendita di energia: stabilisce che i consumatori non pagano più di un tot ma in compenso falliscono le aziende. Ci sono delle grandissime società energetiche che sono già nell’occhio del ciclone e alcuni Stati stanno cercando di finanziarle: in Svizzera e nel nord Europa già si vedono dei casi in cui non si parla di salvataggio ma di supporto finanziario. Poi bisogna capirsi sul significato dei termini…

Il problema sta tutto nei prezzi e nella variabilità imprevista?
Non solo. Il fatto è che tutto questo porta a ricavi che sono letteralmente esplosi e a difficoltà nella loro gestione. Queste grandi società si trovano ad avere esposizioni di tipo finanziario che non sono abituate a gestire. Fanno trading di commodity, ma quando il prezzo decuplica cambia tutto: un conto è sbagliare l’1% quando il totale è di 100 milioni, un altro è sbagliarlo quando è di un miliardo. Ci sono i futures utilizzati per coprire il portafoglio e mitigare la variabilità dei prezzi, che richiedono però enormi sforzi in termini di liquidità e garanzie. Quel che potrebbe salvare le aziende è che parliamo di industria: non è tutto intangibile come nel mondo finanziario, ma ci sono asset fisici come impianti che producono energia e pipeline. La situazione la conosciamo tutti: è oggettivamente imprevedibile e non sappiamo quanto durerà. Gli effetti su queste società dell’energia li stiamo già vedendo, ma la verità è che la parte peggiore arriverà con l’inverno. Leggiamo sui giornali che siamo al 91% dello stoccaggio di gas, ma sarà sufficiente?

Come se ne esce?
Questo potrebbe essere un momento di svolta per le utilities, l’occasione per ripensarsi. Molti credono che stiano facendo guadagni enormi, ma non è proprio così. Quantomeno dipende. Il problema è che sono state abituate per decenni a lavorare su mercati stabili, con un prezzo che era più prevedibile, e si sono adagiate. Oggi è saltato il banco e non possono continuare come prima: le ipotesi su cui si reggeva il business della vendita di energia e gas sono saltate. Sono cambiate le logiche per prevedere quanti clienti entreranno e usciranno, quali saranno i volumi necessari, quale sarà l’andamento dei prezzi e, di conseguenza, sono cambiati anche i criteri nella definizione delle proprie offerte commerciali: queste aziende si trovano di fatto a dover ripensare totalmente la loro attività. In UK ci sono società che alla mattina fanno un’offerta sul mercato e al pomeriggio la ritirano, perché i prezzi nel frattempo sono cambiati. Queste società hanno visto il castello sciogliersi tra le loro mani. Sono poche quelle sufficientemente grandi, tecnologiche e innovative.

Cosa dovrebbero fare per reagire?
Da anni sostengo che il loro asset più rilevante non sia l’energia, che è una commodity, ma il portafoglio clienti. Quello sì è di interesse per tutti. I clienti non andrebbero quindi trattati come meri utenti, perché con il mercato libero fanno gola a tanti e potrebbero essere portati via alle utilities senza chiedere il permesso né pagarli. Se entrassero società come Amazon o Google sul mercato a vendere energia, chi avrebbe la forza di contrastarli? Per questo è davvero necessario valorizzarli. Spesso le utilities adottano il concetto di Vas, Value added service (servizio a valore aggiunto, ndr), per esprimere il fatto che insieme all’energia propongono qualcosa di diverso: dall’assicurazione alla pompa di calore alla lampadina a led… Ma non riescono a cambiare paradigma, a rendersi conto che hanno una ricchezza, cioè un portafoglio di clienti, e la fortuna straordinaria di poter entrare in tutte le case e le aziende italiane, unico settore insieme a Telco. Hanno preziose informazioni su tutti questi clienti, ma troppo spesso non hanno ancora la mentalità per fare degli investimenti che abbiano un ritorno economico di lungo periodo. Eppure di opportunità, di cose da fare, ne hanno e ne hanno avute tante.

Per esempio?
Qualche anno fa è uscita la normativa europea Psd2, che consente alle aziende industriali di diventare una sorta di intermediario finanziario semplificato: di fatto istituti di pagamento che con una app permetterebbero ai propri clienti di pagare i servizi anche di terzi. Molte utilities hanno diversi milioni di clienti: sarebbe stato possibile valorizzare questa base e dare la possibilità di pagare i servizi, trovando forme di aggregazione e alzando barriere all’entrata. Oggi un’altra opportunità di trasformazione è rappresentata dalle comunità energetiche, anche se in Italia mancano ancora alcuni decreti attuativi. Le utilities possono fare un servizio al Paese, ai clienti e a sé stesse, permettendo a imprese e cittadini di aggregarsi, di produrre la propria energia e consumarla, di ottimizzare questa sorta di isola che poi si relaziona con il resto del mondo solo per il netto, vendendo l’energia in eccesso. In questo modo potrebbero creare un altro importante fattore di differenziazione e di fidelizzazione. Le utilities più piccole ma fortemente radicate sul territorio, anche con l’ausilio di strumenti come i big data e l’Intelligenza Artificiale, potrebbero invece cercare di capire quali sono le esigenze degli utenti, pensare di creare una comunità di servizi che includa, per esempio, anche i servizi pubblici locali, e in questo modo diventare polo aggregante. Ecco, sono proprio queste le riflessioni che dovranno entrare sempre più nel Dna delle utilities.

Quale la prospettiva?
Tutto questo potrebbe portare a una nuova stagione di operazioni straordinarie di M&A. C’è da domandarsi se le aziende italiane saranno un soggetto passivo o attivo. Soprattutto le società piccole, ma anche quelle medie, dovranno chiedersi se hanno la forza finanziaria e la capacità d’innovazione per riuscire a fare questo salto quantico e non considerarsi più utility “old style”, ma puntare sul concetto del cliente al centro, investire e innovare. Lavoro con molte di queste società, soffrono tutte delle stesse difficoltà: hanno per le mani un business più rischioso ma pur sempre redditizio, che però ora fatica a reggere di fronte a una crisi spiazzante e del tutto inattesa. È il momento di cambiare. Ora o mai più: il rischio è soccombere.