Il mercato Aim Italia di Borsa Italiana dal 25 ottobre ha cambiato nome in Euronext Growth Milan (Egm). L’operazione è rientrata nel contesto dell’acquisizione di Piazza Affari da parte di Euronext, che ha uniformato la denominazione del mercato per piccole e medie imprese ad alto potenziale di crescita con i nomi dei segmenti analoghi sulle borse di Bruxelles, Parigi, Oslo, Dublino e Lisbona. Prima di affrontare le riflessioni sugli scenari futuri di Egm è opportuno fotografare ad oggi lo stato di salute del segmento per le Pmi. Il numero totale di società quotate a Piazza Affari è di circa 170 e la capitalizzazione complessiva del mercato è di 10 miliardi di euro. Nel 2021 sono approdate sul mercato Euronext Growth Milan 35 società, tra Ipo (più di 30) e Spac, con una raccolta complessiva in Ipo di oltre 600 milioni di euro e un flottante medio del 29%. Le nuove Ipo hanno registrato una domanda superiore all’offerta, con una media di 4x e prima della fine dell’anno sono previste ulteriori 10 Ipo, che sommate alle 36 avutesi nel 2021, segneranno di fatto il record annuo per il listino ex Aim, confermando sempre più la necessità e l’interesse da parte delle Pmi di trovare forme di finanziamento alternative al canale bancario. Il crescente interesse per Egm non è da escludere sia dovuto anche all’operazione Euronext-Borsa Italiana che ha fornito alle aziende un’ulteriore spinta per accelerare il processo di Ipo anche grazie all’ampliamento del network di investitori istituzionali europei e internazionali. La fondatezza di tale ragionamento lo si potrà, però, verificare solo tra qualche anno, trascorsi i quali potranno essere tirate le somme in termini di Ipo avute ed andamento del valore della capitalizzazione di Borsa del listino.

A questo punto è giunto il momento di chiedersi se l’operazione Euronext-Borsa ha portato e porterà vantaggi alle aziende nostrane e quale sarà il futuro di Borsa Italiana. A tal proposito Euronext ha rassicurato che dopo l’acquisizione di Borsa Italiana il gruppo è “profondamente impegnato a far crescere le proprie attività in Italia”, cercando di smentire le indiscrezioni e le critiche nel nostro Paese, preoccupato di vedere ai margini e sottovalutato il ruolo del business italiano nel mercato dei capitali. Euronext, inoltre, aggiunge che tale aggregazione rappresenta “un’opportunità unica per sfruttare i punti di forza e l’alto livello di competenza dei team in Italia, e in tutte le sedi europee del gruppo combinato, a beneficio dei nostri clienti e per migliorare il finanziamento dell’economia reale in Italia e in Europa”. Non solo, Euronext ha anticipato che c’è il piano di “trasferire a Bergamo, in Italia, il proprio core Data Center attualmente basato nel Regno Unito, che ospita tutti i flussi di trading azionario di Euronext e che rappresenta circa il 25% di tutti gli scambi azionari europei. Questa migrazione è il più grande investimento tecnologico avviato da Euronext dallo sviluppo della piattaforma tecnologica di trading Optiq”. Mi auguro sia così, ma personalmente, ritenendo Borsa Italiana un asset del nostro Paese, avrei preferito che a prenderne il controllo fosse stata una cordata tutta “made in Italy” convinto che le infrastrutture di un Paese (in questo caso finanziaria) non debbano essere cedute, ma al contrario sostenute ed investite di risorse sempre crescenti, in particolar modo se utili allo sviluppo dell’economia reale, vero volano della crescita economica e finanziaria di un paese moderno. Tanto più che, come ricordato da Milano Finanza, abbiamo ceduto un azienda (ribadisco un asset), Borsa Italiana SpA, che genera da sola 45 milioni di euro di ricavi al mese, mentre gli altri listini sommati arrivano a 79,4 milioni di euro.

In merito ai vantaggi ipotizzati dell’operazione Euronext-Borsa ritengo il più importante quello di entrare a far parte di un circuito finanziario più grande, più visibile e più liquido (con i benefici che tutti conosciamo) e questo per forza di cose comporta un processo di integrazione in cui si è dovuto rinunciare a qualcosa per ottenere altro.

Auspico che quanto sopra, aggiunto alla conferma dell’indispensabile rifinanziamento del credito di imposta per le spese di quotazione, sia da stimolo alle oltre 2500 aziende italiane potenzialmente “quotabili” (dati bankit) per intraprendere un percorso di crescita e sviluppo insito nel processo di Ipo.

Lato Rsm, confermo che soprattutto nel fine anno il mercato dei capitali è in fermento e la nostra divisione di Capital Market ha seguito negli ultimi due mesi (e con successo) due operazioni di Ipo.

La prima delle due operazioni ha riguardato Destination Italia SpA, prima Travel Tech italiana specializzata nel turismo di qualità dall’estero verso l’Italia. La quotazione consentirà, anche attraverso acquisizioni mirate, di accelerare il percorso di crescita della società per essere tra i protagonisti della ripartenza del turismo in Italia anche alla luce della ripresa post-pandemia che avrà nel digitale uno dei suoi pilastri centrali. La seconda operazione ha riguardato International Care Company SpA società operante nei servizi di assistenza alla persona, gestione di allarmi satellitari e di sinistri per conto di terzi altre al ramo d’azienda relativo alle attività di sviluppo di progetti di telemedicina. Infine il 29 dicembre 2021 arriverà su Egm Finanza.tech SpA, società fintech campana.

UN PERCORSO SNELLO PER LA QUOTAZIONE

Euronext Growth Milan offre un percorso di quotazione calibrato sulla struttura delle piccole e medie imprese, basandosi sulla figura centrale di un consulente – Euronext Growth Advisor – che accompagna la società durante la fase di ammissione e per tutta la permanenza sul mercato.

Creato nel 2009, Euronext Growth Milan offre un percorso semplificato allo quotazione, rispetto al mercato Euronext Milan, requisiti minimi di accesso e adempimenti calibrati sulle piccole e medie imprese.

Tutto comincia con uno studio di fattibilità, che dura circa un mese. Segue una nomad presentation con il coinvolgimento dell’advisor legale, del nomad (ora Euronext Growth Advisor), della società di revisione, dell’advisor fiscale, e di chi si occupa della comunicazione. Questa fase dura sei mesi. Poi parte il road show, per circa un mese: l’emittente, accompagnato dall’advisor e dal nomad, incontra i potenziali investitori. Che possono essere istituzionali, strategici, family offices, private bankers e chi più ne ha più ne metta: La normativa richiede per l’Ipo almeno cinque investitori istituzionali che coprano il 10% dell’offerta, anche su piazze estere. Poi si presenta la domanda di ammissione e la società si quota. Come andrà a finire lo deciderà il mercato.