Caldo e inondazioni l'analisi di Angus Bauer di Schroders
Angus Bauer Schroders

Il caldo estremo e le inondazioni che sono all’ordine del giorno nella cronaca in questi giorni mettono a rischio anche l’export di abbigliamento. A dirlo è un’analisi condotta dal Global Labor Institute della Cornell University e da Schroders. In tutto i quattro paesi principali riguardo alla produzione di abbigliamento rischiano di perdere 65 miliardi di dollari in profitti da esportazioni, che rappresenta una flessione del 22%. A rischio ci sono anche 1 milione di nuovi posti di lavoro a causa di un rallentamento della crescita. Alla base della ricerca c’è l’analisi di 32 hub produttivi di abbigliamento. 

Come devono comportarsi gli investitori 

Secondo Schroders, gli investitori devono fare engagement con le società di abbigliamento e gli stakeholder: le misure di adattamento non sono infatti considerate una priorità nei piani di rischio perché il settore è concentrato sulla mitigazione. L’analisi invita ad adottare meccanismi di protezione sociale e finanziamenti per l’adattamento ai cambiamenti climatici che riducano i costi e i rischi a carico dei lavoratori del settore dell’abbigliamento.

Dove sono i produttori più soggetti a caldo e inondazioni

Le produzioni di abbigliamento vulnerabili al clima che sono state analizzate si trovano in Bangladesh, Cambogia, Pakistan e Vietnam, e in tutto rappresentano il 18% delle esportazioni globali di abbigliamento e calzature con 10 mila fabbriche, che impiegano 10,6 milioni di lavoratori. L’analisi ha preso il via partendo dalle proiezioni sul clima che si fanno più allarmanti dal 2050 in poi con un calo del 68,6% dei profitti da esportazione e 8,64 milioni di posti di lavoro in meno nello scenario “caldo elevato e inondazioni”. Già oggi molti di questi paesi si trovano esposti a pesanti rivolgimenti climatici. Nel 2022, un terzo del Pakistan è stato sommerso a causa di inondazioni senza precedenti mentre, all’inizio di quest’anno, a Dhaka, c’è stata un’ondata di calore durata undici giorni con temperature che hanno raggiunto i 40,2 gradi centigradi. Le inondazioni e il caldo estremo – dice Jason Judd, direttore esecutivo di Cornell GLI – rappresentano un rischio significativo per tutti gli attori della produzione globale di abbigliamento: lavoratori, produttori, autorità di regolamentazione, investitori e marchi stessi. Ma nessuno, nella propria pianificazione, tiene conto dei costi effettivi dei danni causati dal clima. L’industria dell’abbigliamento e le autorità di regolamentazione hanno per lo più strutturato le loro risposte al clima sulla base di temi di mitigazione – emissioni, uso dell’acqua e tessuti riciclati. Ignorano i problemi climatici che colpiscono direttamente e drammaticamente i fornitori e i loro lavoratori. Gli incubi climatici del Nord globale sono già evidenti in Bangladesh, Pakistan, Cambogia e altrove. La vita, per non parlare del lavoro, diventerà molto difficile in questi e in molti altri centri strategici da cui i marchi di abbigliamento e i rivenditori dipendono per la produzione“. 

Oltre i quattro centri di produzione

I  a queste quattro regioni. I ricercatori hanno analizzato la vulnerabilità al clima di 32 centri di produzione di abbigliamento, in termini di esposizione a calore e umidità estremi e a inondazioni fluviali e costiere. Molti altri centri di produzione si sono evidenziati per la loro vulnerabilità a entrambi, in particolare Colombo (Sri Lanka), Managua (Nicaragua), Chittagong (Bangladesh), Port Louis (Mauritius), Yangon (Myanmar), Delhi, Bangkok e le regioni di Dongguan-Guangdong-Shenzhen in Cina. Le perdite a livello mondiale rischiano di essere molte di più, come spiega Angus Bauer, responsabile della ricerca sugli investimenti sostenibili di Schroders, che spiega: L’aumento dello stress termico e le inondazioni intense rappresentano 65 miliardi di dollari di mancati profitti da esportazione e quasi un milione di posti di lavoro per le principali regioni produttrici di abbigliamento nel 2030, con un aumento significativo nel 2050. Questi problemi comportano rischi concreti per i marchi, i rivenditori e gli investitori, in quanto si manifestano attraverso perdite di produttività, attività immobilizzate o entrambi. Questa ricerca evidenzia l’urgente necessità di agire. Gli investitori devono iniziare a fare engagement con le aziende di abbigliamento e gli stakeholder per garantire che inizino a misurare e ad affrontare le sfide significative dell’impatto fisico del clima sui lavoratori e sui modelli di business. Inoltre, le aziende di abbigliamento devono cercare di collaborare con i fornitori e lavorare con i concorrenti, le organizzazioni di lavoratori e i responsabili politici per progettare strategie di adattamento adeguate che tengano conto dell’impatto sui lavoratori. La pianificazione dell’adattamento potrebbe avere ritorni positivi sugli investimenti per il settore e rappresenta una cruciale integrazione agli sforzi di mitigazione“.

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Quali sono le ricadute su marchi e venditori

Inoltre, lo studio analizza anche il modo in cui questi problemi si manifestano per i marchi e i rivenditori. I ricercatori hanno mappato l’impatto della catena di fornitura di sei marchi globali di abbigliamento che rappresentano un’ampia varietà di modelli di business, nei quattro centri di produzione.  Per vedere nello specifico come le problematiche si riflettono sulla produzione, i ricercatori hanno esaminato i costi in termini di produttività dovuti agli impatti del caldo e delle inondazioni per un marchio campione come esempio. 

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L’analisi suggerisce che il danno stimato alla produttività derivante dall’impatto dello stress termico e delle inondazioni nelle sole città di Ho Chi Minh e Phnom Penh potrebbe equivalere al cinque percento dei profitti operativi consolidati per anno. I risultati ribadiscono la necessità che i marchi promuovano misure di adattamento.