Posso fare un certo investimento o attivare una nuova linea di produzione? Mi conviene assumere altre persone? Come posso rimborsare un finanziamento? Rischio il fallimento?
Le risposte potrebbero arrivare dai dati, anche per le piccole e medie imprese. Si chiama Business Intelligence (BI) e fino ad un decennio fa era uno strumento prezioso utilizzato solo dalle aziende verticalizzate e dotate di risorse economiche. Oggi rappresenta una strategia più democratica per modificare i tempi dei processi produttivi, rispondere in tempi congrui alle esigenze del mercato e responsabilizzare gli imprenditori. I costi per sgrezzare dati e trasformarli in informazioni fondamentali si sono infatti ridotti.
I dati sono il nuovo petrolio – affermava il matematico britannico Clive Humby già nel 2006 – ma solo se raffinati, suddivisi e analizzati. E la caccia al nuovo tesoro è aperta a tutti. «Vista la loro grande disponibilità – spiega Carlo Vercellis, full professor of Machine Learning al Politecnico di Milano- e la complessità delle decisioni che devono essere prese dal management delle imprese moderne, Business Intelligence e Artificial Intelligence rappresentano strumenti di formidabile efficacia per creare vantaggio competitivo sostenibile. Da loro possono trarre enormi benefici le imprese appartenenti a tutti i settori: dai diversi ambiti manifatturieri, a quelli di Gdo e retail, i servizi bancari, assicurativi, telco e media. Gli ambiti applicativi riguardano tutte le funzioni aziendali, a partire da marketing e vendite.
Esempi di applicazione della BI che hanno portato a risultati notevoli? «I modelli predittivi di previsione della domanda e delle vendite – replica il docente – per ridurre out-of-stock ed evitare overstock, la manutenzione preventiva (volta ad anticipare possibili guasti e pianificare in anticipo le manutenzioni), il controllo di qualità predittivo (basato su sensori e volto a ridurre sprechi e costi), l’automazione dei processi (basato su analisi di testi e immagini per ridurre il lavoro manuale), l’ottimizzazione dei processi (mirata a identificare possibili colli di bottiglia e inefficienze), l’automazione delle campagne di marketing (per ottimizzare l’acquisizione di clienti e incrementare la loyalty e la gestione scorte)».
In sintesi, come funziona la BI in un’azienda? Alessandro Mattavelli, professore a contratto presso l’Università Cattolica Del Sacro Cuore di Milano ce lo chiarisce così: «La BI permette di avere raccolte in un unico strumento tutte le informazioni che servono, a prescindere dalla fonte e dalla forma dei dati. In azienda spesso si trovano, accanto ai dati del gestionale, una serie di elaborazioni più o meno fantasiose delle informazioni. Con la BI si può fare ordine ed evitare che i dati si perdano e si disperdano».
Le fonti vengono convogliate in un unico modello. Si creano tra loro relazioni e poi si stilano report. «Quindi – continua Francesco Bergamaschi, ingegnere, economista, professore all’Università di Bologna e formatore, – si può creare un grafico dove si vedono, per esempio, le vendite, gli acquisti, le emissioni di CO2, il livello di soddisfazione dei clienti, le performance dei fornitori e così via. In questo modo è possibile creare indicatori che vengono sintetizzati grazie a tutte queste informazioni. Inoltre, la BI permette di aggiornare periodicamente i dati presenti in questo modello in modo automatico, così che ogni mattina siano disponibili i dati di vendita fino alla mezzanotte del giorno precedente. Con la BI, poi, si superano i limiti di numero di righe per ogni tabella dati, che in Excel è di circa 1 milione di righe. Ultimo dettaglio, la BI può anche mostrare i dati real time e non aggiornati ad una certa ora».
Occorre diversificare il ricorso alla BI in base alle dimensioni delle aziende? Per Bergamaschi meglio «ricorrere a consulenti esterni per le piccole imprese, mentre per le aziende medio-grandi è preferibile rivolgersi ad uno staff IT interno e magari ad un consulente per le cose più specifiche che un dipartimento IT generico non copre».
Ma come siamo messi in Italia con l’adozione di questa strategia? Di BI, ci fa sapere Bergamaschi, in Italia si è iniziato a parlare con Luca Pacioli nel XV secolo. È stato il primo uomo di BI, senza tecnologia, poi c’è stata la BI con l’elettronica alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, mentre la versione self service risale al 2010.
A sentire Mattavelli, «l’Italia vive un paradosso. Ha da un lato, l’orgoglio di aver dato i natali a quelli che sono considerati i due migliori consulenti di BI al mondo: Alberto Ferrari e Marco Russo. Dall’altro, il fatto che il primo libro in italiano sul Dax, il nostro (Business Intelligence per le Pmi, Maggioli, scritto con Bianconi e Bergamaschi) sia stato scritto nel 2022 e ancora oggi la maggior parte dei professionisti e imprenditori ignora il fatto che gratuitamente si potrebbe utilizzare uno strumento come Power BI».
«Siamo molto indietro – gli fa eco Bergamaschi – perché le aziende italiane, piccolissime in media, non hanno mai potuto usare la BI per problemi di costi, competenze e tempi di sviluppo. Hanno saputo in ritardo dell’evoluzione self-service, che ormai esiste da più di 10 anni. Oggi qualunque azienda può avere la BI di Microsoft con poche migliaia di euro di investimento iniziale per creare gli indicatori e preparare il sistema magari con un consulente e poi con pochi euro al mese di costo per l’infrastruttura cloud, che viene messa a disposizione da Microsoft. Il consulente interverrà in modo sporadico. Esistono altri software self-service (Tableau, Qlik) che possono essere presi in considerazione, ma hanno costi di licenza più alti. Per questa ragione io propongo Power BI sempre. Se l’azienda ha un database minimale, in due ore qualcosa viene già prodotto. Questo è l’aspetto rivoluzionario della self-service BI».
«Power BI Desktop – fa sapere ancora Mattavelli – è completamente gratuito e permette di pubblicare sul web i propri lavori. I primi costi (8,40 euro al mese per postazione) si affrontano quando si vuole condividere il proprio lavoro con i colleghi o terzi. Nel caso si desiderino prestazioni migliori, esiste anche la versione Premium che costa circa il doppio, ma mi è capitato raramente di vederla in giro. Per le Pmi il costo di 8,40 al mese per utente è più che sufficiente. Per il 95% delle aziende italiane i costi sono estremamente ridotti. Poi occorre valutare un investimento in termini di formazione delle risorse».
Dello stesso avviso Vercellis: «La disponibilità di soluzioni in cloud in forma di SaaS (software-as-a-service) consente di accedere agli applicativi mediante un ragionevole canone annuo, senza un investimento iniziale e riducendo quindi il relativo rischio». Insomma, non ci sono scuse per rimandare. «Notiamo – ancora Vercellis – che le imprese più mature nell’analisi dei dati hanno una maggiore capacità di competere e continuano a rafforzarsi nei confronti delle imprese meno evolute e meno tempestive nell’adozione di strategie di innovazione digitale. Nell’ambito dell’Osservatorio Big Data &Business Analytics, che ho avviato al Politecnico di Milano sin dal 2008, abbiamo introdotto il termine Analytics Divide per indicare il gap che si è venuto a creare e che purtroppo si sta ampliando tra le imprese virtuose nell’impiego di business intelligence e intelligenza artificiale e quelle meno innovative».