Nonostante la minaccia dello spread le famiglie italiane non hanno smesso di investire in Btp. Sul piatto ci sono in tutto da inizio anno 120 miliardi di acquisti. Lo stesso ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ha ribadito nei giorni scorsi di non temere le valutazioni della Commissione europea, ma quelle dei mercati che comprano debito pubblico, lo stresso che in Italia piace soprattutto ai piccoli investitori. Anche perché i rendimenti sono saliti e le obbligazioni pubbliche attirano sempre più investitori, al punto di far registrare veri e propri record di acquisti nel segmento retail degli investitori. La prima impennata è stata quella dello scorso autunno con il Btp Italia, indicizzato all’inflazione, emesso dal governo Meloni. La raccolta proveniente dai piccoli risparmiatori è stata di circa 12 miliardi (record assoluto se si esclude l’emissione fatta sotto pandemia nel 2020), con il 67% degli acquisti sotto i 20mila euro. Non meno bene è andato il Btp Italia di marzo dove il retail si è messo in tasca 8,5 miliardi di obbligazioni. Ma il vero boom è quello dello scorso giugno, quando con il Btp Valore, destinato esclusivamente ai piccoli, il Tesoro porta a casa oltre 18 miliardi. Il prossimo appuntamento sarà il 2 ottobre con il Btp Valore.
Quanto è cresciuto lo stock dei Btp in portafoglio
Secondo le analisi di Citigroup riportate dal Sole 20 Ore, dal luglio 2022 al luglio 2023 i risparmiatori domestici hanno aumentato lo stock di Btp in portafoglio addirittura di 120 miliardi di euro. In altre parole, spiegano gli esperti di Citigroup, «hanno assorbito per intero l’incremento del debito pubblico». Un sostegno prezioso, visto che nello stesso periodo si sono mossi in controtendenza sia l’Eurosistema, ovvero la Bce, che ha iniziato gradualmente ad interrompere i suoi programmi di acquisto di titoli di Stato messi in atto durante la pandemia, sia le banche preoccupate dall’impatto sui bilanci di una futura svalutazione dei titoli. Il quadro complessivo, nel periodo che va da dicembre a giugno, è che la quota di debito degli istituti di credito è scesa dal 17,8 al 16,7, quella della Bce dal 31,5 al 30,1%, mentre il rosso dello Stato in tasca alle famiglie è aumentato dall’8,7 a1l’11,2% del totale. Si tratta di una tendenza che non Giorgetti, ma gli analisti di Citigroup definiscono «cruciale» per le prospettive dei Btp. I margini di crescita di queste quote, del resto, sono ampissimi. Gli acquisti dei risparmiatori italiani sono infatti dovuti principalmente ai deflussi bancari, che negli ultimi 12mesi hanno visto circa 56 miliardi uscire dai conti correnti. Ma sui depositi ci sono ancora circa 1.200 miliardi e in altri strumenti finanziari ce ne sono altri 3.500. Attualmente solo il 6% di questa ricchezza finisce sui titoli di Stato, mentre dieci anni fa la percentuale arrivava fino al 18%. Per questo, oltre a tenere la barra dritta sui conti pubblici, sarà anche determinante che il governo dia qualche segnale di attenzione in più al ceto medio, che è forse il bacino più sensibile a questo tipo di investimenti. In questa direzione dovrebbe andare la riduzione da quattro a tre aliquote Irpef allo studio dell’esecutivo nell’ambito della riforma fiscale. Non arriveranno piogge di denari, intendiamoci, ma portare fino a 28mila euro (dagli attuali 15mila) lo scaglione del 23% porterà benefici, seppur limitati a poche centinaia di euro, soprattutto al di sopra di tale soglia di reddito. Una fascia di popolazione finora abbastanza trascurata (se si fa eccezione per l’allargamento della fiat tax per le partite Iva) a causa della necessità di difendere prioritariamente i redditi più bassi dalle dinamiche inflazionistiche.