Sorpresa, ma non troppo, la pubblicità online è ormai stabilmente il primo canale di advertising a livello mondiale. Il globo terracqueo si ritrova sommerso da una persistente e sempre più invasiva quantità di pubblicità che arriva da internet, per un controvalore di 88 miliardi di dollari contro i 70 destinati alla tv. Il dato, già di per sé clamoroso, deve essere riletto anche alla luce del costo decisamente più contenuto di un adv in rete (banner, pop-up, skin e via dicendo) rispetto a uno spot televisivo anche solo da 15 secondi. È chiaro quindi che, ogni giorno, la Terra è bombardata da una quantità imprecisata di “tentativi di contatto”. Ma sono davvero utili?
Secondo il Politecnico di Milano, no, visto che oggi soltanto l’1,6% delle visite su siti di e-commerce si traduce in un acquisto, mentre il restante 98,4% si perde tra chiusure anticipate e carrelli abbandonati a metà. L’Italia, da questo punto di vista, non fa eccezione, almeno in termini pro capite: oggi infatti il web rappresenta il destinatario del 30% del totale del mercato, contro il 50% della televisione. Ma, se si considera l’investimento per audience, ovvero il numero di persone che ogni giorno si connettono al computer contro quelle che ogni giorno accendono l’ormai ex tubo catodico, si vede che la spesa è di 100 euro a persona nel primo caso contro 80 per il secondo. Di più: ogni individuo online, nel 2011, “valeva” 50,7 euro. Oggi questo valore è raddoppiato.
Il sospetto, però, è che il giocattolo sia arrivato a un punto di saturazione. Un po’ perché, come detto, il “conversion rate” (cioè il numero di persone che finalizza un acquisto) è bassissimo. Un po’ perché la platea potenziale di utenti raggiungibili sta iniziando a scarseggiare. Anche perché il 71% del fatturato pubblicitario online finisce a due soli player, cioè Google e Facebook. Peccato che proprio il social network di Zuckerberg stia vivendo un periodo complicato. Passato quasi indenne dallo scandalo Cambridge Analytica, la “F” più famosa del mondo è capitolata in Borsa sotto i colpi di due notizie: una trimestrale con ricavi e numero di utenti deludenti e un “warning” partito proprio da Menlo Park che avverte: signori, abbiamo iniziato a rallentare sia sul fronte dei ricavi che su quello dei nuovi profili. Se la campagna tutta social #deletefacebook ha portato risultati tutto sommato modesti (c’è chi dice che abbia coinvolto il 9% degli utenti, ma sembrano numeri eccessivi), c’è invece da registrare la difficoltà a raggiungere la generazione che va dai 13 ai 17 anni e che non sembra essere particolarmente attratta da Facebook: solo un giovane su due, infatti, è iscritto e utilizza il social di Zuck, contro il 69% di Snapchat, il 72% di Instagram e l’85% di Youtube.