«Ne ho seguite tante, di leggi di bilancio, negli ultimi 13 o 14 anni, ma difficile come questa ne abbiamo avute poche. E per molte ragioni»: Massimo Bitonci, sottosegretario al ministero per il Made in Italy e le imprese, festeggia quest’anno trent’anni di iscrizione all’ordine dei commercialisti e vanta anche una lunga stagione alla Price Waterhouse, nel settore della revisione e certificazione contabile. È entrato in politica in punta di piedi, come vicesindaco e poi sindaco di Cittadella, in provincia di Padova, per poi salire a sindaco del capoluogo. Oggi nel suo incarico fa da cerniera tra il suo partito e tutta la gestione dell’economia, legge di bilancio compresa. «La legge di bilancio per il 2024 dovrà tener conto di tutte le criticità che l’economia ha vissuto in questi mesi. Mi riferisco al calo della domanda, all’inflazione, che al carrello della spesa si misura nel 9%, anche se possiamo salutare positivamente il lieve calo dell’inflazione delle ultime settimane, all’aumento dei costi delle materie prime e all’incremento dei tassi di interessi, che ha colpito chiunque avesse in essere un finanziamento bancario o un mutuo, ma si è scaricato direttamente e pesantemente sull’erario, con ben 14 miliardi in più di interessi passivi sul debito pubblico».

Quindi, sottosegretario? Non possiamo farci illusioni?

Abbiamo di certo la conferma del taglio del cuneo contributivo sui salari, che riguarda ben 11 milioni di lavoratori dipendenti, apportando loro un sollievo di circa 98 euro al mese, per chi non superi i 35 mila euro di imponibile fiscale. Però è una misura che costa, e va finanziata ogni anno perché non è strutturale, non è insomma compresa tra le voci classiche del bilancio pubblico. Costa tra i 9,5 e i 10,5 miliardi, che vanno trovati.

Cosa difficile?

Molto, perché pur avendo un saldo attivo nel bilancio primario – quello che si ricava togliendo tutte le spese correnti salvo la spesa per interessi dal totale delle entrate – lo Stato finisce in deficit per l’onere degli interessi sul debito, saliti a ben 14 miliardi proprio a causa dell’aumento dei tassi d’interesse. Il ministro Giorgetti l’ha spiegata bene, ci ritroviamo a fare sforzi incredibili per recuperare qualche miliardo di margine e poi la spesa per gli interessi ce li porta via in un attimo!

Però abbiamo portato a casa un incremento del Pil del 2021 e del 2022 maggiore di quello che era stato previsto…

Sì, l’Istat ha rivisto al rialzo il Pil di quei due anni, ma la cosa non ha avuto effetti nuovi e positivi – non ha prodotto alcun “tesoretto”, come si dice oggi – perché contemporanee in quegli anni sono emersi maggiori costi legati al superbonus. Peraltro, non mi meraviglio del fatto che il rialzo del Pil dopo la pandemia è stato misurato in modo un po’ superficiale, ed oggi il ritocco genera un effetto estetico positivo sulla percentuale del debito rispetto al Pil, ma ai fini pratici la cosa non cambia.

Quindi anche lei è critico sul superbonus?

Quel che sta succedendo ai saldi di finanza pubblica a seguito dei costi del superbonus l’avevo visto arrivare ed avevo messo tutti sull’avviso. Dicevo da tempo che si doveva stare molto attenti all’impatto di quel bonus da 110% dei costi. Veda, parlo da commercialista: nelle norme fiscali bisogna sempre inserire un contrasto di interessi che induca i contribuenti a comportamenti virtuosi. In questo vaso, la corresponsione di un contributo addirittura superiore ai costi dell’intervento di ristrutturazione ha eliminato la naturale e utile tendenza a trattare sui prezzi, che infatti sono lievitati enormemente. Sui bonus tradizionali, il rimborso fiscale di un costo non estingue la trattativa tra le parti, perché chi paga vuole comunque minimizzare il suo costo. Nel caso del superbonus, questo non è accaduto, le imprese non hanno dovuto trattare, i costi sono lievitati. C’è stata una vera e propria bolla di attività e di valori in gioco, tanto – si pensava – alla fine pagava il fisco.

Quale sarebbe stata la strada maestra?

Lasciare comunque una percentuale dei costi a carico del cliente, anche soltanto un 10% sarebbe bastato per evitare l’effetto-bolla. E poi sarebbe stato necessario prevedere un décalage annuale della percentuale coperta dal fisco, per tornare in un determinato lasso di tempo al contributo classico del 50% applicato da anni sulle ristrutturazioni. Ora invece abbiamo questo enorme problema di 140 miliardi da coprire, che si spalma anche sui prossimi anni come un vincolo pesante che condizionerà i conti pubblici. Per questo diffido dei superbonus e dei contributi fiscali a fondo perduto.

E come valuta la congiuntura economica?

Come dicevo all’inizio è complessa e delicata. La previsione del Pil europeo condizionata dalla recessione tedesca – con questo -0,4% di Pil che non immaginavamo – diventa una zavorra anche per noi, che siamo i primi partner industriali della Germania, e quindi non abbiamo proprio di che gioire della sua crisi. A fronte di questa congiuntura difficile possiamo salutare positivamente il dato sull’occupazione. Vedremo cosa ci dirà la Nota di aggiornamento al Def (quest’intervista è stata realizzata pochi giorni prima dell’approvazione del documento, ndr) ma comunque sappiamo già che non ci sarà da largheggiare. Dei maggiori costi per il servizio del debito pubblico a causa del caro-tassi, si è detto. E non dimentichiamo le cosiddette spese obbligatorie, circa 6 miliardi, come le missioni internazionali.

Il suo partito, la Lega, quali priorità indicherà al governo?

Puntiamo moltissimo sul tema della salute. C’è ancora in Italia il gravissimo problema delle liste d’attesa, c’è carenza di persona infermieristico e sanitario in genere, negli ospedali come nelle Rsa. Poi c’è il tema finanziario dei Comuni, con il fondo per gli enti in crisi da rifinanziare, con almeno un altro miliardo.

Ma c’è il gettito della tassa sugli extaprofitti bancari… Cosa ne pensa, cosa prevede?

Guardi, pensando ai grandi gruppi – che negli ultimi tempi hanno realizzato utili anche superiori ai 10 miliardi – credo proprio che una sorta di contributo di solidarietà ci starebbe bene. Ogni volta che la Banca centrale ha innanzato i tassi di riferimento, le banche hanno immediatamente elevato quelli attivi, che praticano alla clientela sui finanziamenti e i mutui, ma non anche quelli, passivi, che usano per remunerare i depositi dei clienti… Con la differenza intascata hanno potuto acquistare titoli pubblici che rendevano anche il 5%, incassando un ulteriore vantaggio. Insomma: con questa bonanza, una mano all’erario sarebbe sacrosanta. Poi, certo: discutendone prima si poteva concordare una misura che fosse accettata sin dal primo giorno, ma vorrei ricordare che in un passato recente le banche sono state indotte a ricapitalizzazioni importanti che se fossero state fatte prima avrebbero evitato o contenuto alcuni default molto costosi per il sistema.