«Non abbiamo dedicato il nostro ultimo congresso a temi corporativi ma proprio alla visione del futuro del Paese, nell’interesse del Paese. Il titolo è stato: “Abitare il Paese, città e territorio del futuro prossimo”: Giuseppe Cappochin, presidente del Consiglio nazionale degli architetti, condivide la necessità di riprogettare l’Italia. Anzi, “le” Italie: “Sì, abbiamo fatto un road show di 14 tappe, andando sui territori, svolgendo un’analisi sociale ed economica delle diverse realtà, e abbiamo conosciuto tante Italie”.
E dunque?
Dunque occorre ripartire dai territori. Ormai esiste tra le città una competizione internazionale sull’offerta di lavoro e di qualità di vita, per avere investitori. E’ drammatico che in Italia non si capisca. E’ tutto nell’Agenda urbana 2030 dell’Onu, declinata a livello europea con 12 indicatori per lo sviluppo delle città cui si legano finanziamenti comunitari. Insomma, in Europa c’è un’agenda urbana che guarda al 2030, in Italia siamo ancora all’anno zero.
E gli investimenti pubblici?
Non si fanno, sono stati tagliati anche quelli per le periferie, che pure avevamo criticato nell’impostazione, ma andrebbero fatti, come in Francia, dove sono stati fissati criteri e obiettivi precisi. Nessuna meraviglia se poi gli investitori internazionali da noi non vengono. Un euro pubblico investito bene ne mette in moto molti di più, privati. Un esempio per tutti, Amburgo: ha investito 2,4 miliardi di euro generando 8,5 miliardi di investimenti privati, di grande qualità. Insomma, in molti altri Paesi si investono fondi strutturali su progetti a lungo termine, con obiettivi di rigenerazione – che creano valore – e tempi chiari.
In che senso?
Rigenerare costa più che costruire da zero. Ed è indispensabile per bloccare il consumo di suolo. Da noi si blocca il consumo di suolo, ma non si favorisce la rigenerazione. E così si finisce con il favorire nuovo consumo del suolo.
Le norme sono sbagliate?
Ne parliamo spesso anche col presidente dell’Ance Buia: non è che sia vietato demolire e ricostruire, ma si usano norme del ’44 e del ’68. Invece ne servono di nuove, che rendano possibile ricostruzione anche spostando i volumi da una parte all’altra. Se vogliamo innovare non possiamo utilizzare sistemi vecchi!
Norme da riscrivere, dunque.
Abbiamo un delirio normativo che impedisce la cultura della qualità. Dobbiamo adeguarle. Dobbiamo adeguare la cultura del territorio. Col nostro congresso abbiamo lanciato un’azione di sensibilizzazione che inizia addirittura dagli asili.