Il primo cittadino di Milano, Beppe Sala, è davvero preoccupato per le scelte degli operatori della City finanziaria a dir poco prudenti sul rientro dei dipendenti nelle proprie sedi, un tempo brulicanti di vita e oggi desolatamente vuote o quasi. D’accordo il Covid-19, d’accordo l’efficacia dell’operatività in remoto garantita dalla tecnologia, ma la ripresa economica della città passa molto anche dal rientro dei bancari negli uffici che nel momento in cui Investire va in stampa sta sì avvenendo ma timidamente. La preoccupazione però non è solo per l’immediato: le politiche massive di smart working adottate da istituti di credito e società finanziarie potrebbero essere di lungo periodo e determinare danni permanenti per le attività economiche del capoluogo lombardo. Ma Sala ha anche altre riserve sullo smart working che spiega in questa intervista a Investire.
D. Sindaco Sala, il primo cittadino di Londra Sadiq Khan ha espresso forte preoccupazione e contrarietà al possibile spopolamento della Citylondinese a causa del crescente successo dello smart working, che ha portato giganti dell’asset management espressione del Regno Unito come Schroders ad annunciare la possibilità per i dipendenti di non lavorare più in ufficio e per sempre. Se l’esempio di Schroders fosse seguito in massa da banche e società finanziarie in Italia, l’economia di Milano – il suo centro in particolare – potrebbe ricevere un duro colpo. Cosa ne pensa? Che messaggio ha per il top management di banche e società finanziarie che comunque devono pianificare in modo ragionato il rientro del personale nelle sedi centrali dopo il lockdown e in un contesto dove il Covid rimane un elemento di forte preoccupazione?
R. Lo spopolamento del centro e dei distretti in cui operano i grandi gruppi finanziari e bancari presenti a Milano è anche una delle mie più grandi preoccupazioni. Per fronteggiare l’emergenza Covid-19, con l’obiettivo di ridurre le occasioni di contagio, è stato doveroso oltre che un segnale di grande responsabilità da parte delle aziende potenziare e incentivare il lavoro a distanza per le professioni che lo consentivano. Ora, però, è arrivato il momento di tornare ai propri posti di lavoro, in presenza, magari anche parzialmente. E questo, sia chiaro, deve comportare sia il rientro negli uffici in totale sicurezza – quindi ridefinendo gli spazi per garantire la distanza interpersonale, stabilire orari di ingressi e uscite scaglionati, mettere a disposizione gel e altri strumenti per la disinfezione personale -, sia la necessità di normare e garantire le giuste tutele per chi è in “smart working” e “telelavoro”. Un mancato rientro nei luoghi di lavoro rischierebbe di aggravare ulteriormente la situazione di diversi comparti economici, con la perdita di numerosi posti di lavoro. L’assenza dei lavoratori negli uffici nel blocco e poi in questi mesi post lockdown sta costando molto a tutte le realtà economiche. Temo, in particolare, che gli istituti di credito e finanziari o le grandi multinazionali e aziende che pagano l’affitto per palazzi completamente vuoti potrebbero decidere di chiudere alcune sedi. Senza contare quanto bar, ristoranti, negozi di ogni genere stanno già soffrendo, perché per sopravvivere queste imprese hanno bisogno di clienti che varcano di persona, fisicamente, le porte dei negozi.
D. Con il suo passato di altissimo dirigente di grandi aziende private e pubbliche che idea si è fatto dello smart working? Un uso massiccio di questo strumento quali controindicazioni ha a suo giudizio per il buon andamento delle imprese che lo utilizzano?
R. Lo smart working è una modalità di lavoro che ha dimostrato la sua utilità soprattutto nel corso dell’emergenza e credo che debba rientrare tra i diritti dei lavoratori nella nuova era digitale, in un opportuno ripensamento dello Statuto dei lavoratori. In Comune stavamo già sperimentando questa modalità; per far fronte alla pandemia la abbiamo ulteriormente incentivata e sostenuta. Sono convinto che il lavoro a distanza sia una grande opportunità che comporta un cambio di paradigma decisivo nell’organizzazione del lavoro, per questo necessita di essere normato e ben governato in questo percorso di transizione. Le performance dei lavoratori a distanza e dell’intera impresa che ne fa uso sistematico vanno analizzate con molta attenzione, tenendo conto di molteplici fattori. Chi ha lavorato a distanza nel periodo del lockdown, per esempio, lo ha fatto al di fuori di un contesto di regole e tutele adeguate, spesso con grande sacrificio e nella difficoltà di conciliare le esigenze familiari – prima tra tutti la gestione dei figli o di cari che non stavano bene – con le incombenze lavorative. In questo, va ammesso, a pagare il prezzo maggiore sono state le donne; situazione non accettabile che va affrontata. Va poi aggiunta la frustrazione e il senso di alienazione derivante dal non avere contatti diretti, di persona, con gli altri che i lavoratori potrebbero vivere e che potrebbe incidere sulla resa finale dell’impiegato e dell’azienda, oltre che avere ripercussioni nel quotidiano e sulla sfera personale di ognuno.
D. Una grande città metropolitana come quella che lei guida è anche, in definitiva, una grande società di servizi. Pensa che questo genere di attività di servizi ai cittadini e al vasto pubblico possano un domani avvalersi meno di oggi della relazione fisica con gli uffici grazie ad un maggior sviluppo del digitale?
R. La tecnologia è una risorsa fondamentale, un alleato indispensabile per rendere più efficiente la macchina pubblica e più immediato il dialogo tra i cittadini e le istituzioni. È sulla capacità di offrire sempre più servizi di pubblica utilità in via telematica che si giocherà il futuro delle città e delle pubbliche amministrazioni. Con questo non intendo dire che il contatto di persona, agli sportelli, verrà meno – quello deve proseguire e adeguarsi alle nuove esigenze, migliorandosi -, ma credo che troverà nella dimensione digitale un valido complemento e facilitatore.
D. A proposito della City finanziaria, il London Stock Exchange ha messo in vendita Borsa Italiana. Non sarebbe il caso che il controllo dei nostri mercati di borsa passi in mani italiane o quantomeno comunitarie?
R. Sì, voglio credere che da parte dell’Italia e dell’UE arrivi una proposta valida e solida, perché Borsa Italiana è un asset strategico che non può essere perso.