I detenuti di Bollate ridanno vita a pc e prodotti tecnologici

Si vede anche nei piccoli gesti della politica che i Verdi francesi sono diventati importanti per l’avvio della seconda stagione della presidenza Macron dopo sei mesi di semirivolta dei Gilet gialli, due mesi di Gran Débat e il mezzo fallimento dell’originario progetto liberal-democratico (dire liberal-socialista è troppo) che ha portato l’ex banchiere di Rotschild e l’ex segretario generale della commissione Attali (presidente Sarkozy) all’Eliseo.

Ora che i Verdi hanno “la vie en rose” come ironizza il quotidiano Le Figaro e il loro leader, Yannick Jadot diventa “Le giant vert” sulla prima copertina del settimanale L’Obs dopo il voto europeo, il piccolo gesto verso quella che, strumentalmente o meno, è diventata la “priorité écologique” nell’agenda del governo lo fa proprio il presidente del consiglio Edouard Philippe, che martedì 4 giugno si è presentato in un “point relais” parigino, un centro dove si possono ritirare i prodotti acquistati on line sulla prima piattaforma francese di e-commerce, il gruppo Cdiscount, due miliardi di euro di fatturato e 60mila “items”, prodotti in magazzino, soprattutto vestiti, tessili e piccoli elettrodomestici. E proprio qui, in questa location del consumo post-moderno, davanti al logo di Cdiscount con il pay-off che invita a non risparmiarsi negli acquisti (“N’économizes pas vostre plasir”), Edoard Philippe, accompagnato dalla graziosissima sottosegretaria alla transizione ecologica Brune Poirson, una che ha lavorato nel gruppo Veolia in India (nella gestione dell’acquedotto di New Delhi) e oggi è vicepresidente dell’Onu per le questioni ambientali, ha annuciato la presentazione, prima della pausa estiva, di un disegno di legge che vieta – per la prima volta al mondo – la distruzione dei prodotti non alimentari (quindi vestiti, giocattoli, elettrodomestici, telefonini e computer) rimasti invenduti.

Il testo presentato dal capo del governo ha uno slogan che ha fatto felici gli ecologisti di tutta Europa (“Produire pour detruir, c’est fini”, come a dire: è finito il tempo dello spreco). Si ispira alla legge Garot approvata nel 2016 (presidenza Hollande) che vieta la distruzione dei prodotti alimentari e impone a supermercati e catene commerciali di consegnare l’invenduto alle associazioni del terzo settore, come i Restos du Cœur che, grazie proprio alla legge Garot, hanno potuto offrire tra il 2016 e il 2017 dieci milioni di pasti in più. Allo stesso modo, seppur con modalità diverse, la nuova legge impone il divieto di distruggere i prodotti nuovi invenduti e di consegnarli ad una filiera che si incaricherà del loro riciclaggio e che è stata chiamata, significativamente, Rep “Responsabilité élargie des producteurs” che si può tradurre in “presa di coscienza dei produttori”.

Al fine di evitare, per dire, lo scandalo- svelato dai giornali l’anno scorso- dei vestiti e dei cosmetici di lusso a marchio Burberry distrutti perché non andassero a finire nei mercatini (con conseguente danno d’immagine per la griffe inglese). O l’altro scandalo – questo rivelato dalla catena tv M6 a gennaio – di televisori e giocattoli invenduti e avviati alla distruzione dai magazzini di Amazon France.

Gli ecologisti più radicali chiedono multe pesantissime per produttori e distributori, mentre i rappresentanti dei produttori – per esempio la potente Federazione francese del prêt-à-porter, che organizza la Fashion Week parigina e presidia una quota non secondaria delle esportazioni dopo Airbus e Champagne – considerano eccessiva una legge Garot per il non-alimentare, per il tessile-abbigliamento. “Facciamo già i saldi e poi cediamo l’invenduto ai mercatini e agli spacci aziendali e tanto basta”, si giustificano.

Ma è l’industria del lusso a esprimere preoccupazione e perfino allarme perché vuole gestire alla sua maniera, e senza troppa pubblicità, gli stock di invenduto per proteggere le sue reti esclusive di distribuzione fatte di boutique e di flagship store su cui si concentrano molti investimenti finanziari e manageriali.

Il presidente Macron sta provando ad aggirare l’ostacolo e ha chiesto a François-Henri Pinault, il numero uno del gruppo Kering, di convincere i suoi colleghi a impegnarsi in qualche modo, e senza un obbligo di legge, nella lotta contro il riscaldamento climatico. L’idea è quella di un vero e proprio “Fashion pact” in chiave ambientalista che dovrebbe essere annunciato durante il G7 a Biarritz ad agosto. Perché l’industria della moda, anche se nessuno lo dice, è il secondo settore più inquinante al mondo.