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Ernesto Fürstenberg Fassio, Vice Presidente di Banca Ifis

di Diana Daneluz

«Quest’anno,  la ricerca di Banca Ifis “Economia della Bellezza”, giunta alla sua seconda edizione, si arricchisce e considera una nuova dimensione, quella delle imprese guidate da uno scopo. Il nostro studio dimostra, infatti, che la bellezza, alla luce delle nuove e sempre più diffuse sensibilità rispetto ai temi della sostenibilità sociale, ambientale ed economica, conferisce alle aziende maggiore resilienza. A dimostrarlo anche il successo nel mondo delle Pmi italiane che hanno saputo promuovere il connubio tra innovazione e tradizione mantenendo un legame stretto con il territorio». Non ha dubbi su quale sia il nuovo orientamento del business Ernesto Fürstenberg Fassio, vice presidente di Banca Ifis, un orientamento che già nel 2021 ha interessato un comparto che rappresentato il 24,1% del Pil nazionale, trainando la ripresa economica soprattutto in quattro settori – agroalimentare, sistema casa, artigianato artistico e orologeria/gioielleria – dove la bellezza si è rivelata fattore distintivo di competitività.

Senza includere le aziende purpose-driven, l’impatto dell’ecosistema “Economia della Bellezza” sul Pil italiano era passato dal 17,2% del 2019 al 15,7% del 2021, soprattutto per il calo dei flussi del turismo culturale e naturalistico a causa delle restrizioni sulla mobilità, la cui spesa è scesa del 23%; ma il dato confermava comunque la resilienza di queste aziende che hanno contribuito al recupero del Pil nazionale, con un calo dei ricavi dal 2019 al 2021 dello 0,7% (678 miliardi di euro il fatturato delle imprese dell’Economia della Bellezza), molto più contenuto dunque rispetto al 4,6% delle altre imprese fuori perimetro “Economia della Bellezza” che aveva realizzato un fatturato di 765 miliardi di euro.

Per le aziende purpose-driven, quelle guidate da uno scopo, la seconda edizione del Market Watch, realizzato dall’Ufficio Studi di Banca Ifis, in parte con la collaborazione della multinazionale della ricerca YouGov e di Poli.design, ha indagato il legame virtuoso e di reciproco arricchimento tra Economia della Bellezza e purpose economy e dà numeri che confermano un trend. Sono circa 46.000 le imprese purpose-driven in Italia, producono circa 650 miliardi di euro di ricavi annui, con un fatturato medio di 14 milioni di euro e si dimostrano più resilienti rispetto alle altre. Il 58% delle persone scelgono un’impresa perché ha obiettivi valoriali (sociali e ambientali) oltre che di vendita e un altro 33% considera questo fattore decisionale comunque importante.

Una criticità che si è trasformata in opportunità. Sembra essere questo l’esito più significativo cui è giunto l’osservatorio confrontandosi con il biennio pandemico 2020-2021: ad emergere infatti è l’impatto anche economico della responsabilità sociale come uno dei driver di business e una parola nuova, “Bellezza”, che si prefigura come ispiratrice dell’attività d’impresa: una bellezza che si sostanzia della dimensione dell’”etica” e del “giusto”. Fare impresa “per bene” paga e diventa fattore imprescindibile di competitività, perché arricchito dal purpose.

È infatti una tendenza trasversale, non limitata ad un solo tipo di business o di mercato di riferimento, quella che porta queste imprese, molte di esse Pmi, a scegliere di avere un impatto positivo su comunità e territori. Sono aziende che rappresentano ben undici settori produttivi e che, privilegiando questo approccio, realizzano un fatturato medio di 14 milioni di euro.

Seppure i due anni appena trascorsi abbiano messo in luce la tendenza, la scelta di costruire un’attività fondata sui valori oltre che sul profitto, anche se sicuramente rispecchia le aspirazioni delle generazioni più giovani ad assecondare lo sviluppo di comunità consapevoli sulle istanze civili e sociali, non è un fenomeno nuovo, se è vero che l’89% delle imprese purpose-driven sono già consolidate sul mercato, mentre solo l’11% è nato dal 2018 a oggi. E soprattutto, non è tutta farina del sacco dell’imprenditore.

La richiesta del purpose arriva infatti dal consumatore e quindi, lungi dall’essere una moda passeggera, testimonia piuttosto la trasformazione dello stakeholder in protagonista attivo, interessato a vagliare e a giudicare criticamente l’apporto dei modelli di business delle imprese, con cui entra in contatto come cliente o partner, allo sviluppo di tematiche quali la sostenibilità ambientale, il rispetto dei lavoratori e quello dei diritti umani e sociali. Per questo emerge anche come sempre più centrale il ruolo di una comunicazione d’impresa realmente capace di veicolare il proprio effettivo e reale impegno ambientale e sociale – l’impegno ad avere un impatto sulla società che non solo deve essere positivo, ma che deve anche essere massimizzato, imparando a misurarlo – attraverso la voce dei propri dipendenti e collaboratori resi partecipi di “un progetto comune”, attraverso modelli di rendicontazione recanti bilanci di sostenibilità, attraverso certificazioni da parte di organismi indipendenti.

Tutto ha un valore quando si tratta di riflettere, come in uno specchio, la Bellezza della propria impresa purpose-driven.

Una bellezza che il Market Watch di Banca Ifis racconta attraverso sei case history (Foscarini, Trend Group, Mavive, Serveco, Acbc, Lavazza), imprese in cui una fetta sempre più ampia dell’attività si colora di responsabilità sociale. Dove il prodotto è “bello” solo e se esprime anche un contenuto valoriale. Il concetto dello scopo, del purpose, è parte integrante del processo generativo di impresa in senso più ampio: diventa la ragione per cui una azienda è nata ed opera e deve includere oggi alcuni elementi come la parità di genere, la sostenibilità sociale, economica e ambientale, processi di  partecipazione e democratizzazione, la valorizzazione della diversità generazionale, il perseguimento del benessere dei lavoratori, la volontà di approdare ad un impatto positivo su territori e comunità locali. Tutte cose che bisogna saper fare.  Anche il prodotto-bellezza del modello della purpose-economy ha bisogno di competenze e in molti casi sono competenze (e figure professionali) del tutto nuove, segnate dal dialogo tra le discipline e dalla contaminazione dei saperi: “la complessità non può che essere affrontata attraverso incroci ed intersezioni tra di essi”. Un’indicazione chiara al mondo della formazione he, già sollecitato da più parti al cambiamento, deve aggiungere questo asset alla propria offerta se è vero, come pare essere e  come è anche augurabile che sia, che la via della bellezza è stata tracciata.

Ma cos’è la bellezza in economia? Come in altri campi dell’attività umana e della ricerca, oggi, complice anche l’invasività della tecnologia che tanti problemi pone all’uomo, la bellezza diventa anche e soprattutto sostanza, virando decisamente verso l’etica. Anche il 37% degli intervistati dello studio di Banca Ifis valuta la bellezza come profondamente connessa all’etica. La bellezza diventa allora valore essenziale quando promuove l’azione, anche quella dell’impresa, un’azione capace di mostrare cosa siamo e cosa abbiamo il dovere di essere, per noi e per gli altri, perseguendo il bene collettivo e l’evoluzione sociale.

Di qui l’impegno quanto mai attuale di Kaleidos, il social impact lab di Banca Ifis nell’ambito del quale è nato il Market Watch Economia della Bellezza. «Kaleidos – spiega ancora Ernesto Fürstenberg – è stato lanciato ad aprile per promuovere tutte le iniziative, presenti e future, che non riguardano strettamente il credito e che mettono al centro le persone, favorendo  la cultura dell’inclusività». Per un “fare impresa” che sia bello per tutti.