Va bene che persino Perseverance, il rover della Nasa che sta scorrazzando su Marte, viene manovrato in smart working da un monolocale a Londra, ma davvero qualcuno può pensare che i 640mila uffici censiti in catasto alla categoria A/10 siano destinati al prepensionamento? È vero, la pandemia ha rivoluzionato i modelli organizzativi ed il layout degli spazi di lavoro, ma, anche a fronte di un esponenziale ricorso allo smart working, gli uffici continueranno a essere essenziali. E no, non ne serviranno di meno: ne serviranno di più grandi. E diversi.  

L’ufficio sta evolvendo secondo un approccio ibrido e diffuso con un headquarter centrale e satelliti periferici

«Il Covid ha fortemente ridimensionato lo sviluppo di uffici-pollaio», spiega a Economy Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari. «Ora gli spazi vanno rimodulati: dove prima c’erano cento postazioni, ora ce ne stanno 60. Tutte le grandi società stanno riconsiderando i loro spazi e ne cercano di nuovi, tanto che per esempio a Milano il nuovo si vende addirittura un anno prima di cominciare a costruire». «Già prima del Covid nella Mitteleuropa era attivo un processo di utilizzo più razionale del lavoro da remoto, ma non per questo c’è stata una riduzione dell’utilizzo uffici, ma solo un utilizzo diverso», conferma Francesca Zirnstein, a capo dell’Ufficio studi di Scenari Immobiliari. A quanto potrà arrivare questo tasso di presenza lavoro da remoto? «Stimiamo che si stabilizzi fra il 20 e il 30%. Ma basta guardare la presenza nei grattacieli di Citylife a Milano a settembre: la torre di Generali era piana al 50%, quella di PwC al 60%, Allianz al 30%. Questa differenza così forte racconta che non c’è una regola, ma che tanto più un’attività è fatta di consulenza, tanto meno il lavoro da remoto diventerà una parte preponderante». Quanto alla presunta diminuzione della domanda, per Zirnstein «si tratta di domanda teorica: come si tradurrà in reale è da vedere. In ogni caso a livello mondiale i Reit – le società quotate che gestiscono investimenti immobiliari, ndr – hanno asset allocation per il 17,5% in uffici, una percentuale che nei fondi immobiliari europei sale al 43% e in Italia addirittura al 64%». Come dire che gli uffici restano un asset fondamentale nel mercato: «Il trasformatore dal metro quadrato al valore per gli uffici è l’1,5, mentre per il residenziale è 1, perché in questi anni gli investitori immobiliari istituzionali hanno investito in immobili di grandissima qualità, sui quali sono riusciti a realizzare canoni molto alti». 


Il mercato è in fermento

Nonostante lo smart working, il mercato degli uffici continua a correre. Basti guardare ad Antirion, per esempio, che in piena pandemia ha perfezionato il contratto di locazione degli Edifici Garibaldi Executive per il nuovo headquarter di Oracle Italia nel cuore di Porta Nuova a Milano. O a Covivio, che ha chiuso il 2020 con una performance solida proprio grazie agli uffici, che costituiscono il 60% di un patrimonio di circa 17,2 miliardi di euro. E a Dea Capital Real Estate Sgr, che a gennaio ha venduto ad Hayfin i 13mila metri quadrati di via XXV Aprile a San Donato Milanese che ospitano gli uffici della compagnia di assicurazione UnipolSai. O a Prelios, che sta per ridare vita alla Stecca di via Rizzoli a Milano, trasformando l’antica fabbrica che dal 1960 ospitava rotative, redazioni, uffici e abitazioni dei dipendenti della casa editrice in un bioufficio firmato dall’archistar giapponese Kengo Kuma. Il Report Uffici 2020 H1 realizzato da World Capital in collaborazione con Nomisma certifica che già nel primo semestre 2020, in piena pandemia, il settore immobiliare ad uso ufficio è stato caratterizzato da un trend positivo, in leggera crescita rispetto agli anni precedenti. Con Milano, ça va sans dire, che spicca su tutte le altre città analizzate. Certo, non ci sono più gli uffici di una volta: le aziende hanno bisogno di reinventare gli spazi di lavoro per offrire ai dipendenti le condizioni per rientrare in ufficio in piena sicurezza, in un ambiente che faciliti la collaborazione e promuova il benessere dei dipendenti. «La pandemia ha rivoluzionato i modelli organizzativi ed il layout degli spazi di lavoro, anche a fronte di un esponenziale ricorso allo smart working.», spiega Andrea Faini, ceo di World Capital. «Da una nostra recente survey su un campione di oltre 200 player del settore, è emerso che il 6,8% degli intervistati rinuncia all’openspace per tornare agli uffici singoli. Il lavoro agile presumibilmente continuerà ad essere molto utilizzato anche nei prossimi mesi e l’aspetto degli uffici potrebbe cambiare ulteriormente. Tuttavia, pur cambiando il loro layout, gli uffici rimarranno asset fondamentali per le città e per gli investimenti immobiliari. Tra le soluzioni più richieste al momento troviamo i flex office e gli spazi co-working, che offrono flessibilità e agilità nel lavoro».  Si cercano spazi modulabili, intuitivi, sanificabili, velocemente riorganizzabili, facilmente personalizzabili e controllabili dagli utenti, dotati di tutte le tecnologie per lavorare da remoto e per connettersi con i colleghi, touchless, prenotabili attraverso app dedicate. Tutti elementi che il concept elaborato da WiP Architetti (di cui parliamo nel riquadro in queste pagine) esprime perfettamente e che ha già suscitato l’attenzione di diversi soggetti. Ma tutti, da Sorgente Sgr a Fabrica Immobiliare Sgr, da A2A ad Amundi da Torre Sgr a Finanziaria Internazionale, si stanno attrezzando.

«L’ufficio tradizionale è destinato a essere sempre più concepito come un vero e proprio ecosistema: non più come “torre” ma come “piazza”, un luogo inclusivo ed integrato, inserito nel tessuto economico e sociale circostante», sottolinea Barbara Cominelli, ceo di Jll Italia, leader mondiale nei servizi professionali per il settore immobiliare e nella gestione degli investimenti. Uffici sempre più digitali, integrati, green e sostenibili. Entro i prossimi 10 anni si prevede una grande trasformazione: «L’ufficio si sta evolvendo secondo un approccio ibrido e diffuso, come ad esempio il modello Hubs & Clubs, che prevede una componente centrale – il “club”, in sostanza un headquarter probabilmente rivisto nelle dimensioni e con funzioni diverse, tese allo scambio, al brainstorming e allo sviluppo di sinergie – insieme a componenti satellitari, gli “hub”, non necessariamente nello stesso comune, per accorciare tempi di spostamento e distanza percorsa dai dipendenti per recarsi in sede, senza obbligare a lavorare necessariamente da casa». 

Incontro tra generazioni

«Ci troviamo di fronte a un cambiamento epocale che vedrà lo spazio di lavoro come protagonista», conferma Alberto Cominelli, Head of Project Management di Cbre Italy. «Negli ultimi dieci anni, l’ufficio si è evoluto verso un modello che ha fatto della flessibilità il suo punto di forza:il modello organizzativo agile, declinato nello smart working a livello gestionale e nell’activity based working a livello spaziale, ha infatti letteralmente soppiantato quello tradizionale fatto di controllo, orari fissi e postazioni assegnate. Questo fenomeno è stato esponenzialmente accelerato dalla pandemia Covid-19, che ha portato a un balzo in avanti di almeno 5 anni». Per capire come si evolverà lo spazio di lavoro, dobbiamo prima esaminare come si evolverà la forza lavoro. «Entro il 2030, per la prima volta nella storia, lavoreranno insieme cinque generazioni e ogni generazione avrà esigenze diverse. La generazione Z, quella dei nati dal ’97 in poi, rappresenterà il 30% della forza lavoro e sarà affiancata da nuovi colleghi digitali, le intelligenze artificiali. E proprio la generazione Z sarà quella che più di altre avrà la necessità di utilizzare di più l’ufficio come luogo di lavoro per diverse ragioni: perché vorrà interagire coi propri colleghi, perché dovrò confrontarsi con i propri responsabili, perché vivrà in appartamenti piccoli, magari condivisi con altre persone, e non avrà spazi adeguati per lavorare. Lo spazio di lavoro non potrà quindi non tenere in considerazione le esigenze di flessibilità delle nuove generazioni».