Un “Rapporto volontario di sostenibilità”, il secondo realizzato dall’azienda, che documenta dettagliatamente l’impegno di un colosso della logistica come Autosped G., società del Gruppo Gavio, per la riduzione delle emissioni di CO2 nei trasporti: è stato pubblicato poche settimane fa ma arriva a conferma e suggello di una strategia di lungo periodo, nettamente anteriore alla moda della sostenibilità che da qualche anno a questa parte ha contagiato tutti. Un impegno declinato su vasta scala, se si pensa che il gruppo dispone di ben 3700 mezzi di cui 1500 trainanti, che circolano quotidianamente sulle strade, in massima parte in Italia, ha un volume d’affari di 800 milioni e circa 2200 dipendenti. “Abbiamo deciso di pubblicare questo secondo rapporto sia per amore che per forza”, spiega Luca Giorgi, amministratore delegato della Autosped G., accettando una domanda provocatoria. “Per amore, nel senso che crediamo fermamente nell’importanza della decarbonizzazione; ma anche per forza, nel senso che la normativa indirizza tutti in quella direzione e sempre più lo farà!”.
Quindi la scelta della sostenibilità è irreversibile?
Secondo la nostra filosofia pensare e agire in maniera sostenibile dovrebbe essere il dovere di ogni singolo cittadino – risponde Giorgi, intervenendo a un dibattito sulla sostenibilità organizzato a Milano da Economy Group – e quindi per noi è stato naturale adeguarci alle linee guida più avanzate dell’Unione Europea. Sappiamo di lavorare in un ambito molto inquinante, perché i trasporti e la logistica lo sono, ma tanto più la tutela dell’ambiente ha per noi rilevanza. Il discorso giusto da fare oggi, sia in sede politica che nella società civile, non verte quindi sul perché adottare determinati comportamenti ma sul come adottarli. Voglio dire che ormai la strada è tracciata: ci sono delle normative, dei parametri che ognuno di noi, al momento attuale, deve cercare di rispettare, va fatto e basta. Il vero interrogativo è probabilmente in che momento sia meglio farlo; si può scegliere un atteggiamento passivo, e quindi aspettare gli eventi; oppure essere proattivi, il che sicuramente fa sì che le risorse che noi impegniamo in questo progetto possano portare la società ad essere subito più pronta per gli scenari futuri”.
Nel vostro rapporto di sostenibilità illustrate come e perché avete deciso, riuscendoci, di rendervi già capaci di rispondere in pieno ai vincoli normativi in essere. Ma ora volete addirittura andare oltre, annunciando che l’azienda intende fare qualcosa che vada oltre l’obbligo di legge assumendosi la connessa responsabilità. Ma stando così le cose, la vera domanda aperta è forse un’altra: l’impegno su questo fronte sta ottenendo un effetto positivo di questo impegno da parte di istituzioni e clienti?
La nostra risposta non può che essere una e una sola. Il mercato è molto vario, e quindi i player hanno caratteristiche molto diverse e pensiamo che questa dell’impegno sulla sostenibilità sia un’opportunità per potersi distinguere da quello che il mercato mediamente propone. Già oggi noi, agli occhi dei nostri clienti, godiamo di una considerazione diversa; già oggi siamo in grado di partecipare a determinate gare d’appalto dove altri non possono accedere, e siamo favoriti grazie appunto alla nostra adesione ai principi della sostenibilità. Ci sono ormai sul mercato delle piattaforme digitali capaci di filtrare i candidati alle gare che vanno affrontate per essere ammessi a determinati appalti dove si viene misurati innanzitutto con il metro dell’aderenza ai principi ESG. In un simile quadro, evidentemente, una certificazione è preziosa. Ma quel che più conta è che le sfide per chi gestisce logistica e rapporti, quelle che rientrano nell’ambito dell’‘impegno per la sostenibilità’, sposano valori che noi abbiamo già da molto tempo perseguito, mentre una realtà comparabile, che non abbia però ancora preso in considerazione lo stesso approccio alla sostenibilità, si trova automaticamente esclusa.
Ma ci sono anche incongruenze nella normativa. Cosa ne pensa ad esempio un grandissimo investitore istituzionale della sfida dell’elettrico oggi in Italia, anche guardando all’andamento del mercato?
Posso rispondere citando un dato concreto, che cioè la nostra flotta di automezzi è oggi alimentata a gasolio, tolta una piccola percentuale di camion alimentati a Lng (gas naturale liquefatto, ndr) che sono stati un esperimento sia pure importante anche se oggi sono ormai consolidati. Ma la soluzione Lng non porta i benefici attesi. Quanto al camion elettrico ha purtroppo ancora oggi delle forti limitazioni d’uso; eppure, con alcuni nostri clienti, a loro volta molto attenti al tema della sostenibilità, abbiamo in corso dei progetti importanti e faremo dei test con camion elettrici, per andare avanti in quella direzione a dispetto di quelle forti limitazioni di efficienza che oggi pesano contro la loro adozione standard.
Quali limitazioni?
Quali? Be’, innanzitutto il costo: un camion elettrico costa il triplo di un analogo camion diesel. È un elemento preponderante. E poi sul supporto all’investimento ci sono diversi atteggiamenti a livello europeo: la Germania riconosce a chi compra un camion elettrico, che costa circa 350 mila euro, l’80% del differenziale di prezzo rispetto a un camion a motore endotermico che ne costa mediamente 110/120.000; in Italia invece il prodotto è equiparato ad un camion a combustione a gas naturale liquefatto, e il contributo è pari a 25.000 euro..
Non sarà mica avversario dell’elettrico?!
Tutt’altro! Ci crediamo, ma questi problemi pesano. Un’altra cosa che al giorno d’oggi bisogna tenere in grande considerazione è che l’elettrico, per ora e pur noi essendo oggi convinti che rappresenti la soluzione finale, patisce però il forte limite operativo dell’autonomia limitata e della mancanza di infrastrutture di ricarica. Ma si presuppone che nel giro di 5-6 anni il camion elettrico potrà arrivare a percorrere distanze di 350-400 km, avere una rete di ricarica efficiente e potente che permetta tempi brevi, idealmente collocabili tra un turno di guida e l’altro. Oggi un camion elettrico ha un’autonomia sui 200 chilometri e ci vorrebbero colonnine da 370 kW per la ricarica veloce che invece ancora mancano. Ciò nonostante, siamo convinti che siano la soluzione finale ma in questo momento la nostra scelta è, giocoforza, un’altra. Noi stiamo sostituendo per i nostri il gasolio tradizionale con i biocarburanti, quello che oggi viene pubblicizzato come HVO, un combustibile che, parlando secondo la logica well to wheel, riduce le emissioni dall’80 al 90%. Se ci riflettiamo, possiamo dire che sia un risultato eccellente.
C’è un’altra parola chiave, per il vostro lavoro. Quanto vi ci impegnate?
Quella della sicurezza è per noi una priorità assoluta. Facciamo di tutto per porne ogni premessa sia sul piano tecnico che strutturale che sulla formazione. Per noi la sicurezza è innanzitutto una garanzia per i nostri dipendenti, ma anche per il sistema: il rischio da prevenire è anche quello degli estremi disagi che possono essere determinati alla circolazione stradale, pregiudicando la sicurezza altrui ma anche la fluidità del traffico, insomma impattando sulla comunità. È un impegno costante, non finisce mai. Ma riteniamo di essere avanti, almeno su certi fronti. Un esempio: circa un anno e mezzo fa, abbiamo deciso di montare su tutti i nostri veicoli dei radar che illuminano il famigerato angolo cieco per salvaguardare l’incolumità dei ciclisti. Un tema tristemente molto attuale.