di Carlo Marino, presidente di Anci Campania
Pnrr e autonomia differenziata sono legati da un sottile, ma solido, filo rosso. Entrambi, infatti, impattano con i divari territoriali tra Nord e Sud. Ma, mentre i 200 miliardi della Ue hanno tra le principali mission quella di ridurre la distanza, il progetto del ministro Roberto Calderoli punta a cristallizzarla e, se possibile, acuirla, rendendo impossibile una vera unità, se non culturale, almeno economica e sociale del Paese. In questo scenario – complicato dal fantasma della recessione indotta dalla guerra in Ucraina – sono i Comuni il vero front office dell’impegno per ridurre i divari. Nel Mezzogiorno 8 Comuni su 10 hanno partecipato ai bandi. Per accedervi, molti di essi – soprattutto piccoli e piccolissimi – si sono «alleati» con i municipi vicini per avere più chance, vincendo orgogli campanilistici e diffidenze storiche. Non è bastato. Leggendo la recente indagine di Svimez, «I Comuni alla prova del Pnrr», si ha la conferma del persistere delle difficoltà: il 62% dei Comuni al Sud ritiene complessa la partecipazione ai bandi del Pnrr.
La criticità maggiore è la mancanza di personale comunale, soprattutto profili con alte competenze tecniche. Veniamo da una lunga stagione – durata quindici anni – nei quali l’austerity e il risanamento dei bilanci statali sono stati pagati, quasi per intero, con le tasche dei Comuni. Per tre lustri non c’è stato turn over, ma depauperamento delle competenze e falcidia di personale.
Faccio un esempio che conosco bene, quello del Comune di Caserta. Quando mi sono insediato per il primo mandato nel 2016 i dirigenti al mio Comune erano 8, attualmente sono 2. I dipendenti nel 2016 erano 539 oggi sono 240. E in questi sette anni il personale è diventato ancora più vecchio…. la percentuale under 40 nei Comuni del Mezzogiorno è solo del 4,8%.
Da tutto questo si intuisce che limiti, lentezze e ritardi nella realizzazione del Pnrr hanno una spiegazione. Per superare i buchi negli organici e partecipare ai bandi, anche al Sud si è fatto ricorso alle consulenze esterne, in percentuali più o meno simili a quelle dei Comuni settentrionali. Ma, spiega lo studio Svimez, se i ritardi si accumulano soprattutto nelle fasi iniziali di affidamento dei lavori, è perché il rallentamento è provocato «dalle carenze di personale tecnico specializzato, in particolar modo nei piccoli Comuni».
È vero che il decreto Pnrr del febbraio 2023 ha dato priorità alle azioni di semplificazione delle procedure per accelerare le tempistiche delle fasi di esecuzione e conclusione degli interventi. Ma resta solo parzialmente sciolto il nodo dell’espletamento delle fasi iniziali di affidamento, sulle quali pesano maggiormente le carenze di organico degli enti locali. Si poteva assumere? Sì, i bandi Pnrr lo prevedevano, ma si tratta di assunzioni a tempo determinato, per 36 mesi e non oltre il 2026, e con retribuzioni che per i laureati – penso ad architetti, ingegneri e informatici – non superano i 1400 euro netti. Questo ha determinato, secondo il Formez, che il 16,5% delle posizioni sono rimaste scoperte, con punte del 20% se guardiamo ai profili tecnici di cui i Comuni del Sud hanno bisogno come il pane.
In questo quadro di affanno, ma di impegno ventre a terra dei Comuni, si innesta il progetto di autonomia differenziata del ministro Calderoli. Alla Conferenza unificata Stato-Regioni-Enti locali abbiamo, pochi giorni fa, consegnato un documento dei sindaci e dei Comuni in cui vengono segnalate quelle che con un eufemismo vengono definite le nostre «osservazioni».
In realtà ci sono punti su cui i Comuni del Mezzogiorno non possono transigere. La nostra linea Maginot. Intanto non si può parlare di regionalismo differenziato senza prima arrivare all’individuazione e al finanziamento dei Livelli essenziali di prestazione (Lep). I Lep sono la soglia invalicabile, prevista dalla nostra Costituzione, e vanno realizzati in maniera preliminare. Altrimenti diritti e prestazioni sociali diventano dei concetti vuoti e delle prese in giro.
Inoltre non possiamo che restare basiti quando si prevede la devoluzione alle Regioni di funzioni non solo legislative, ma anche amministrative e gestionali senza tenere conto del ruolo e del contributo che, in tutti questi anni, i Comuni italiani hanno offerto in termini di servizi ai territori e alle comunità. Altro che tagli: stavolta si vuole procedere allo svuotamento dei Comuni, alla loro liquidazione. Sostituendoli con agenzie e cinghie di trasmissione delle Regioni.