L’impatto dell’automazione sui posti di lavoro e sull’economia è un tema di discussione da decenni, ma con il ritmo crescente dei cambiamenti tecnologici, e la diffusione sempre più veloce dell’intelligenza artificiale la questione sta diventando sempre più urgente. Negli ultimi anni, i progressi nell’intelligenza artificiale (AI), ma anche nella robotica e in altre tecnologie hanno portato a miglioramenti significativi in termini di produttività ed efficienza, ma hanno anche suscitato preoccupazioni per la perdita di posti di lavoro umani.
Non c’è dubbio che l’automazione stia cambiando la natura del lavoro. Le attività ripetitive e routine che un tempo venivano svolte dagli esseri umani sono ora automatizzate, e questo ha già causato la perdita di posti di lavoro in molte industrie. Secondo un rapporto del McKinsey Global Institute, fino a 800 milioni di posti di lavoro potrebbero andare persi in tutto il mondo a causa dell’automazione entro il 2030, e i lavoratori con bassi salari e poca istruzione sono i più a rischio.
Sebbene l’automazione probabilmente creerà nuovi posti di lavoro in settori come lo sviluppo software e l’analisi dei dati, non è chiaro se questi posti di lavoro saranno sufficienti a compensare le perdite. Inoltre, i posti di lavoro creati potrebbero richiedere competenze diverse da quelle che vengono perse, portando a una disoccupazione e a una mancanza di competenze (mis-match tra domanda e offerta di candidati). Ciò ha portato alcuni a chiedere politiche come il reddito di cittadinanza universale o una settimana lavorativa più breve di 4 giorni per mitigare l’impatto della perdita di posti di lavoro.
Anche i governi stanno iniziando a prendere provvedimenti per affrontare la questione. Già nel 2020, l’Unione europea ha proposto un nuovo quadro di regolamentazione dell’AI, mirato a garantire che l’AI sia sviluppata e utilizzata in modo sicuro e vantaggioso per gli esseri umani. Il quadro prevede misure come requisiti di trasparenza e responsabilità per i sistemi AI e la creazione di un Consiglio europeo per l’AI per supervisionare lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie AI. Senza scomodare il passato, il Garante Italiano che fa la guerra a chatGpt è l’ultimo episodio della saga (nel momento in cui viene stilato questo articolo).
Negli Stati Uniti, alcuni stati hanno implementato programmi per riqualificare i lavoratori che hanno perso il loro lavoro a causa dell’automazione. Ad esempio, lo stato del Michigan ha lanciato il programma Michigan Advanced Technician Training, che fornisce formazione gratuita a lavoratori in settori come la robotica, l’automazione e il controllo per non tagliarli fuori dal mondo del lavoro, ma lavorando riqualificandoli.
Secondo quanto emerso in uno studio di Goldman Sachs citato dal Financial Times “The Potentially Large Effects of Artificial Intelligence on Economic Growth”, la capacità di lavorare in modo automatizzato, senza l’intervento umano, potrebbe portare «un progresso significativo con effetti macroeconomici potenzialmente importanti e potrebbe aumentare il Pil globale annuo del 7% nei prossimi 10 anni».
Questo grazie ai risparmi sul costo di alcune particolari tipologie di lavoro e una maggiore produttività per i lavoratori il cui impiego non può, al momento, e per fortuna, essere sostituito dall’intelligenza artificiale. Ma esiste anche il rovescio della medaglia. Perché l’impiego dell’AI, nei prossimi 10 anni, potrebbe travolgere il mondo del lavoro e far rimanere disoccupati molti lavoratori.
L’automazione continuerà a cambiare la natura del lavoro, ma non è chiaro quanto sarà la perdita di posti di lavoro e come i posti di lavoro creati si differenzieranno da quelli persi. I governi, le imprese e i lavoratori devono lavorare insieme per garantire che la transizione verso un’economia più automatizzata sia gestita in modo equo e giusto per tutti.
E che non conti il mero profitto a discapito delle persone. Il rischio è che per risparmiare sui costi (ad esempio di produzione, di sviluppo, etc..) si finisca per lasciare a casa metà gente che non avrebbe più di cosa vivere. È davvero questo quello che vogliamo?