L’appello di Liliana Segre contro l’oblio che minaccia di sommergere la memoria dell’Olocausto, e dunque spegnere nelle menti dei giovani quell’anticorpo contro la barbarie omicida raggiunta dalle dittature nazifasciste, non poteva che suscitare un’ondata di approvazione e di consapevolezza. Ma non illudiamoci: è un’ondata effimera.
La nostra società – non solo occidentale – è dominata ormai da un paradossale “presentismo”. Quell’essere, cioè, tutti continuamente e quasi parossisticamente concentrati sull’oggi, sull’ora, sul momento, che ci viene indotta dalla potenza smisurata del motore di ricerca scandalosamente dominante e dai due tre social che incanalano il pensiero collettivo.
Lungo quali linee-guida sia Google che Facebook, Instagram, Twitter lo incanalano, il nostro pensiero?
Una navigazione approfondita e asettica lo rivela senza se e senza ma. Innanzitutto lo incanalano in una drastica polarizzazione del pensiero: “buca” la barriera dell’attenzione (tradotto: si fa notare) il messaggio estremo, o bianco o nero. Juve mito, Juve boia. Proibiti i mezzi toni. Ancora, trionfa la banalizzazione dei concetti, per assurda che sia: la terra è piatta; bastano 18 caratteri spazi compresi per dire una cavolata pazzesca che però in Rete suscita attenzione mentre ieri – proclamata al bar sport dallo scemo del villaggio – suscitava pernacchie. E ancora: violenza, verbale e visiva.
Sopra quest’enorme discarica dell’intelligenza umana aleggiano due fattori dominanti, che attengono alla struttura stessa dei mezzi digitali. E cioè il “presentismo” e la dimensione audiovisiva.
Il presentismo è quel fenomeno per cui, pur potendo disporre in teoria del più sterminato archivio storico che mai l’umanità abbia prodotto, chi va sui motori di ricerca si invischia fatalmente nelle prime pagine di risposte che lo sommergono di cose inutili (e per metà pagate) tutte riferite a fatti o oggetti o personaggi attuali oggi, ma non riconducibili a ieri. Ieri è già preistoria, su Google.
Il presentismo è quella cosa per cui le promesse bugiarde dei politici di ieri non vengono più ricordate e rinfacciate; per cui i meriti delle azioni meritevoli e i demeriti legati a delitti o infamie commesse, se risalgono a più di una decina di giorni fa, finiscono in un oblio di fatto, il cui diritto non è difeso dalle leggi (le leggi sul web fanno piangere in tutto il mondo per quanto sono servili e lacunose) ma dalla forza dell’oggi, per cui semplicemente sono pochi quelli che si ricordano che c’è stato ieri per cercarvi le premesse dell’oggi.
Poi c’è la predominanza dell’audiovideo – arma totale di TikTok ma anche dei reel di Facebook e Instagram e di tutto quanto si può aggiungere nell’universo del copia-e-incolla. E’ un altro fattore che milita contro le informazioni sedimentate, perché in Rete si trovano tantissimi video, sì, ma … tutti e soltanto quelli di epoche in cui… i video c’erano.
Quindi, ad esempio, i video sulla Shoah sono pochi rispetto a quelli su Rihanna. L’Ucraina è ben rappresentata, e meno male; il Vietnam assai poco.
E la stragrande maggioranza dei contenuti video presente in Rete, in Tv e nei cinema sull’Olocausto li dobbiamo (in questo caso fortunatamente) non all’etica di qualcuno ma al business dei film dedicati a quello che è stato e in parte ancora è un lucroso tema di fiction. Purchè se ne parli, va bene qualsiasi movente ma ecco: non confondiamo come azioni consapevoli ed educative quel che si fa per guadagnare soldi.
La storia non si ripete ma fa rima, dice il proverbio. Per questo va studiata: studiare la storia per capire e gestire l’oggi. Ma la storia è seppellita in Rete da tonnellate di terabite di scemenze e di pubblicità. Tutte inchiavardate all’oggi.
C’è rimedio a tutto questo? Per il momento, zero. E il presentismo non è l’unico male che imperversa dal Web sul vivere sociale. Un altro male è il populismo, veleno della democrazia, figlio dell’estremizzazione delle opinioni e della banalizzazione delle analisi. Un altro ancora è l’iperconsumismo, dovuto – non solo, ma molto – ai comportamenti insensati promossi dalla sottocultura internettara: consumo insensato di energia, ad esempio; e/o di materie prime connesse a produzioni pop a basso prezzo e valore nullo, promosse da una pubblicità dilagata oltre ogni criterio di affollamento, pervasiva, incontrastata come non mai dal consumerismo, ormai defunto, e anzi sostenuta dal paragiornalismo dei nostri tempi.
Tutto male? Assolutamente no. Il web – potenzialmente – è una risorsa meravigliosa dell’umanità, uno strumento dalle straordinarie capacità di promozione umana. Potenzialmente: e prima o poi lo diverrà. Ma quando? Non lo sappiamo. Per ora, è l’umanità ad essere uno strumento del web. E dei pochi paranoici che davvero lo governano e che davvero ci guadagnano.