«La semplificazione normativa è un classico di tutti i governi degli ultimi 30 anni. Tutti la vogliono e nessuno la fa. Anzi, la qualità della produzione normativa tende a peggiorare nel tempo». Non ha dubbi Giovanni Valotti, professore di Economia delle aziende e amministrazioni pubbliche dell’Università Bocconi, che di questi temi si occupa da trent’anni e che oggi vuol dire la sua anche attraverso un nuovo saggio: “Reactive PA: lezioni dalla pandemia per il cambiamento della pubblica amministrazione”, pubblicato da Egea. Degli elementi nuovi però ci sono. L’epidemia ha mostrato in alcuni comparti dello Stato una capacità di reazione e resilienza nell’affrontare in modo efficace la crisi di cui non si sospettava la presenza. E, allora, non è possibile portare nella “normalità” quell’efficienza che la nostra amministrazione sa mettere in campi quando crolla un ponte o siamo colpiti da una emergenza sanitaria senza precedenti?
Il volume parte da un doppio caso di studio: lo svolgimento delle campagne di vaccinazione Covid-19 in due regioni molto diverse tra di loro: Lazio e Lombardia. In entrambi i casi, sotto la mannaia dell’emergenza, le due istituzioni si sono trovate costrette ad elaborare risposte rapide con risultati alla fine certamente positivi.
Giovanni Valotti e la PA
Può essere una lezione che ci ha lasciato la pandemia? Che cosa abbiamo imparato da questa crisi?
In primo luogo che la pubblica amministrazione non ce la può fare da sola. È fondamentale la collaborazione tra istituzioni e con tutti gli attori del sistema economico, imprese e organizzazioni non profit, insieme alla co-responsabilizzazione interna dei dirigenti e dei funzionari: in situazioni di emergenza viene meno la naturale prudenza legata alle responsabilità amministrative e allo spettro del danno erariale. Le conseguenze negative del non fare sono molto più gravi dei rischi che si assumono dal punto di vista procedurale. Questo dovrebbe farci riflettere sul sistema degli incentivi per chi lavora nel pubblico: troppo deboli i premi per chi ottieni i risultati e troppo alti i rischi per chi, nel perseguire l’interesse pubblico, interpreta in modo non burocratico le norme.
In qualche modo l’emergenza, e quindi la necessità di prendere decisioni rilevanti in tempi molto rapidi sembra essere la “nuova normalità” dall’inizio della pandemia. Questo riguarda le aziende, ma fatto in parte nuovo, anche la PA.
Le pubbliche amministrazioni sono tradizionalmente accusate di una eccessiva attenzione alla forma, il cosiddetto orientamento agli atti, che inevitabilmente rallenta i processi decisionali e di attuazione. In realtà negli ultimi anni si è fatto un grande sforzo per promuovere un maggior orientamento ai risultati, sia pure in un contesto normativo non facile da gestire. Miglioramenti, sia pure a macchia di leopardo, si sono conseguiti sul piano dell’efficienza, ovvero della riduzione dei costi. Tuttavia, oggi questo non è più sufficiente…
Il contesto esterno è diventato sempre più dinamico e imprevedibile e, in queste condizioni, diventano essenziali due caratteristiche: la flessibilità e la velocità. Alla pubblica amministrazione non sarà più semplicemente richiesto di “far bene”, ma sempre più di “fare presto”, innovando. Purtroppo la prudenza è in parte comprensibile poiché ogni qualvolta si allenta il sistema delle procedure e dei controlli si apre il fianco ai comportamenti devianti: si pensi alle ingenti truffe legata ai bonus energetici per la ristrutturazione degli edifici. I paesi che hanno le norme più semplici sono anche quelli che hanno standard etici più alti, nel pubblico e nel privato.
Il libro è anche il frutto di un programma a medo-lungo termine di affiancamento alla PA: Sda4gov. Ci spiega in che cosa consiste questo progetto?
SDA4Gov vuole rappresentare il contributo di Bocconi a sostegno del settore pubblico per la ripartenza del Paese. Stiamo investendo molte risorse ed energie lungo due pilastri fondamentali. In primo luogo attività di ricerca che permettano lo sviluppo di conoscenze avanzate utili alla pubblica amministrazione italiane ed ai policy maker. In secondo luogo un’offerta formativa di livello internazionale, per programmi Master e corsi brevi, interamente dedicata ai dirigenti e ai funzionari, giovani e meno giovani, della pubblica amministrazione. Perchè il cambiamento, alla fine, passa attraverso persone competenti e motivate.
PA, il punto di Giovanni Valotti
Nel suo libro indica cinque leve su cui agire per una PA «reattiva» e, tra queste, un sistema di governance pubblica con una chiara regia e articolazione delle responsabilità. Ma chi governa la governance, cioè chi definisce compiti e gerarchia di ciascuno degli attori?
Dobbiamo distinguere due livelli. La «governance di settore», dove si intrecciano responsabilità tra amministrazioni centrali e decentrate, Regioni ed enti locali, aziende sanitarie, vigili del fuoco, agenzie di tutela dell’ambiente, ecc. Su questo piano c’è sicuramente un riordino da fare, ad evitare che ogni procedimento richieda un numero imprecisato di firme, con conseguenze evidenti sui tempi. Il secondo livello è interno alle amministrazioni richiama la distinzione tra le responsabilità decisionali dei politici e quelle dei dirigenti. Sulla carta è tutto chiaro, nella sostanza molto meno. Si tratterebbe in questo caso solo di applicare correttamente le norme che già esistono.
Un altro fattore su cui lei insiste è la necessità di suscitare da un lato una leadership vocazionale, un orgoglio dell’essere dipendente pubblico, dall’altra un più radicato senso civico nei cittadini. In che modo ci si può riuscire?
I dipendenti pubblici, quelli bravi, sono stati a lungo ingiustamente maltrattati dai media e dall’opinione pubblica. Il settore pubblico è pieno di persone di valore, con un forte motivazione a generare valore per i cittadini. Purtroppo, la rigidità del rapporto di lavoro e una cultura egualitaristica non sempre permette di premiare come si meriterebbero queste persone. Ma proprio la pandemia ha dimostrato, si pensi ai medici, agli infermieri, tanto quanto agli operatori ecologici, quanto le persone generosamente possano dare quando ci sono le motivazioni giuste. Su questo piano, quindi, oltre che su un’attenta selezione degli oltre 700.000 nuovi assunti della pubblica amministrazione nei prossimi 5 anni, si giocherà il futuro.
Non meno importante è il cosiddetto capitale sociale. I cittadini non si fidano della pubblica amministrazione e, quindi, non le perdonano nulla. Sta alla pubblica amministrazione ricostruire un rapporto di fiducia, a cominciare da una rendicontazione davvero trasparente dell’uso dei soldi pubblici e dei risultati ottenuti, compreso le mancate realizzazioni.
Quanto pesa una cattiva o parziale comunicazione nel creare nei cittadini un senso di fiducia verso le istituzioni?
Pesa tantissimo. E la pubblica amministrazione, a differenza delle imprese, investe molto poco sulla comunicazione. In questo siamo molto indietro rispetto alle amministrazioni di altri paesi, con le quali normalmente ci confrontiamo. Per estremizzare, da un lato la Gazzetta Ufficiale e dall’altro i social media di ultima generazione. C’è molto lavoro da fare, ma anche un grande spazio di miglioramento non difficile da conquistare.
Dal suo osservatorio di professore in economia delle aziende che effetti prevede sull’economia delle imprese italiane a seguito della nuova crisi internazionale?
Difficile fare previsione, anche solo a medio periodo. Certo è che le imprese dovranno gestire una fase di grande turbolenza con tanti rischi ma anche con la possibilità di consolidare l’assetto delle diverse filiere industriale. Abbiamo davanti un periodo di grandi trasformazioni, anche per le imprese questo comporterà la necessità di crescere e diventare più innovative e resilienti. Probabilmente questo porterà, a differenza del settore pubblico, ad una selezione degli operatori meno efficienti, ma al tempo stesso potrà indurre molte imprese virtuose ad investire sull’innovazione strategica e di prodotto.