Altro che sfiducia, l’unica cosa da fare è...fare

Dum loquimur, fugerit invidia aetas. Carpe diem, quam minimum credula postero”. Ovvero: “Mentre parliamo sarà fuggito, inesorabile, il tempo: cogli il giorno, il meno possibile fiducioso in quello successivo”.

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Nuova operatività ristori Emilia-Romagna

A partire dal 21 novembre ampliata l’operatività dei Ristori da €300 milioni riservati alle imprese colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna. La nuova misura, destinata a indennizzare le perdite di reddito per sospensione dell’attività per un importo massimo concedibile di 5 milioni di euro, è rivolta a tutte le tipologie di impresa con un fatturato estero minimo pari al 3%.


Lo scriveva Orazio, sommo poeta latino, duemila anni fa. Ed è un principio incrollabile, sempre valido: non dobbiamo fare troppo affidamento sul futuro, e proprio per questo dobbiamo sfruttare appieno tutte le opportunità che ci offre il presente.

Le opportunità che il presente offre a chiunque svolga attività economica sono strepitose, se uno le vuole riconoscere con un briciolo di positività. E invece tutti i segnali econometrico-sociali ci descrivono un’Italia (e un’Europa) imballate dall’incertezza per il futuro. Proprio quel sentimento di vago timor panico che ci frega, perché “mentre parliamo il tempo fugge”.

Per esempio, il tempo dei bassi, anzi negativi, tassi d’interesse. È un momento d’oro per farsi prestare dei soldi. Le rate di un mutuo casa, almeno nelle grandi città, corrispondono ai canoni mensili di un affitto. Eppure il mercato immobiliare langue, c’è poca domanda, e i prezzi scendono, ma in pochi riconoscono in questo calo un’opportunità, contando forse su un ulteriore calo futuro. Lo stesso può dirsi per gli investimenti industriali, troppo lenti rispetto all’enorme necessità che la nostra industria manifatturiera avrebbe di ammodernare i suoi impianti, le sue macchine, come documentiamo nella coverstory di questo numero di Economy.

Le incognite sono davvero tante ma anche le opportunità

Oggi, il male oscuro del sistema economico italiano ed europeo si chiama sfiducia. Ma la medicina non può essere la politica, che anzi è una micidiale fabbrica di disillusioni e, quindi, di ulteriore sfiducia. I leader di quasi tutti i partiti strapromettono, in cerca di consensi, risultati irrealistici e quando i fatti s’incaricano di dimostrarne l’assurdità, chi ci aveva creduto si deprime. No, la medicina dev’essere dentro di noi. Se c’è incertezza, se il futuro non ci rassicura, l’unica cosa da fare è…fare. Aspettando, si fa peggio.

Temendo le inondazioni da riscaldamento globale, dobbiamo forse tutti trascolare in montagna? Temendo le nuove rivolte dei forconi, esportare tutti clandestinamente i capitali in qualche stato canaglia? Rinviare acquisti e investimenti per tesaurizzare risparmi che non rendono più? Ma che senso ha?

È chiaro che i problemi globali sono enormi e l’Italia non ne è immune. Le guerre commerciali scatenate dall’inquietante Trump, le manovre opache del dittatore a vita Xi Junping, l’aggressività a stento repressa di quell’altro dittatore di Putin. E intanto la Germania incredula e quasi paralizzata dalla propria stessa crisi economica, una crisi in mezzo all’abbondanza creata in dieci anni di successi. La Brexit in caotica evoluzione. Il Medioriente di nuovo in fiamme. Tutto vero. Ma non fare nulla temendo guai peggiori è il miglior modo per farceli capitare addosso e restarne schiacchiati.

A voler aprire gli occhi e cercare esempi, conferme e opportunità, ci si riesce. Su questo numero ripercorriamo la storia di sfide e successi di Enrico Salza; raccontiamo, con i casi di Banor, Ersel ed altri, come la finanza stia diventando più etica; con Federico Pirro illustriamo come ci siano in Italia migliaia di aziende ipercompetitive che restano tali ed anzi crescono nonostante la crisi. O come interi settori apparentemente tradizionali, per esempio il franchising, stiano macinando ottimi risultati, dimostrando un’insospettabile resilienza anticiclica. E dunque: intraprendiamo. Investiamo. Costruiamoceli, i nostri tempi migliori.

STOP AI CONTANTI? SÌ, PURCHÉ LO STATO CONTROLLI DAVVERO DOVE SERVE

Ma perché mai siamo così affezionati al denaro contante da volerci ribellare alle tasse sui prelievi al Bancomat? Che ce ne facciamo di tante banconote? Cosa dobbiamo nascondere? Subiamo dallo Stato angherie ben peggiori, a cominciare da una pressione fiscale effettiva pazzesca. Se l’evasione del giorno per giorno, quella di alcuni (non pochi) tra dettaglianti, artigiani, liberi professionisti, può essere contrastata anche limitando l’uso del contante, perché non farlo? I liberisti duri-e-puri (quelli con i cui consigli il mondo è andato a sbattere) s’indignano per l’ennesima invadenza dello Stato impiccione e invocano la privacy su come spendiamo i nostri soldi. Poi sono i primi ad arrendersi al tracciamento globale e incessante che i vari Google, Apple, Amazon e Facebook fanno dei nostri movimenti. Sia chiaro: l’evasione si annida nell’uso del contante perché quest’ultimo non è “tracciabile”. Per questo gli evasori truccano i conti e poi usano contanti. Ben venga quindi tutto ciò che – come la fatturazione elettronica – impone la tracciabilità. Purché lo Stato si rimetta a fare controlli severi sia sulle aziende che sui privati. Se tutti pagassero le tasse, tutti pagheremmo molto meno. (s.l.).