Dall’intervista con Giovanni Bruno, Presidente della Fondazione Banco Alimentare Onlus emerge il valore del volontariato che non è quantificabile, ma può essere quantificato il controvalore del cibo distribuito dai volontari. Anche per questo la Fondazione è stata premiata quest’anno al “Salone della CSR e dell’Innovazione sociale nell’ambito col primo Premio Impatto”. Una lotta che viene svolta non tanto contro lo spreco ma per aiutare chi ha bisogno.

Ogni giorno Banco Alimentare è impegnato a ridurre gli sprechi alimentari attraverso il recupero delle eccedenze che si creano nella filiera agroalimentare. Questo consente di sostenere in tutta Italia 7.600 strutture caritative che si occupano di favorire l’accesso al cibo di circa 1.750.000 persone in difficoltà.

Dall’inizio dell’anno a oggi, con il conflitto che ha peggiorato le cose, Banco Alimentare ha però registrato una diminuzione dell’8% del recupero di eccedenze dall’Industria e dalla Grande distribuzione, un calo del 30% di donazioni economiche da aziende e privati insieme ad un aumento del 45% dei costi di gestione che includono logistica, trasporti ed energia elettrica. 

In seguito alla pandemia e al conflitto Russia-Ucraina sono calate le risorse e aumentati i poveri. Quali sono i dati aggiornati? Cosa mette in campo Banco Alimentare oggi per far fronte a questa colossale emergenza?

Nei primi nove mesi di quest’anno abbiamo visto crescere le richieste di aiuto agli enti convenzionati con noi, di circa 85.000 unità. Per tentare di rispondere in una logica di vera sussidiarietà sia all’aumento di richieste di aiuto da parte di singoli e famiglie sia all’aumento del costo delle materie prime e dell’energia, è necessario far crescere ulteriormente la collaborazione fra gli attori in campo, mondo profit, no profit e istituzioni; far crescere la progettualità per dare continuità al sostegno che da 33 anni forniamo alle strutture caritative con noi convenzionate. Non cerchiamo solo donazioni, importantissime, ma partnership per poter ‘fare’ sempre più e meglio per il bene della nostra società.

Come l’attività di Banco Alimentare, il recupero alimenti, la logistica e la distribuzione fatta dai volontari tramite gli enti caritativi, contribuiscono allo sviluppo del paese?

Il recuperare eccedenze evitando che si trasformino in sprechi, in una buona pratica di economia circolare, è già di per sé un contributo allo sviluppo del Paese. Il recuperarle a favore degli enti caritativi che sostengono tante persone è poi importante volano di solidarietà e condivisione e contributo all’inclusione sociale. La povertà più grande è la solitudine e il sentirsi dei “falliti” come ci hanno testimoniato in tanti. 

Il rapporto con Banco Alimentare ha consentito a diverse aziende di migliorare la propria reputazione raggiungendo un più alto livello di sostenibilità e inclusione. Il tema è attuale, tanto che qualcuno ha persino parlato di “green washing”.

Il rischio certamente c’è, per tutti noi: cerchiamo di richiamare sempre, innanzitutto noi stessi, che non si tratta di fare “buone azioni”, o di lottare contro la povertà, ma di mettere in campo una logica di gratuità che parte dall’attenzione alla persona, che è alla base dei rapporti, del modo di guardarsi, di concepirsi: non padroni ma custodi di quanto ci è dato, a partire dal tempo. Per una azienda vuol dire oltre al profitto, indispensabile, riconoscersi sempre più parte di un contesto sociale al quale poter contribuire.

Quale coscienza hanno invece i volontari del valore di quel che compiono?

Le ragioni per cui uno si mette in gioco possono essere le più svariate: certamente per tutti è importante che cresca la consapevolezza che il tempo che si dà, le energie spese, le competenze messe in campo, o sono per una “convenienza”, cioè per una crescita personale, per qualcosa che cambia e arricchisce, oppure poco alla volta inevitabilmente il desiderio decade e si smarrisce il valore di quel che si fa. E questo vale anche per le aziende.

Quali rapporti con la grande distribuzione e in più in generale come viene affrontata la raccolta del cibo fresco? 

Ci sono accordi con le catene della GDO e poi poco alla volta sul territorio si individuano le strutture caritative più prossime ai punti vendita, con le necessarie capacità e mezzi per poter ritirare e in breve tempo utilizzare il “fresco”. Non si può improvvisare, occorre fare anche formazione perché tutto venga gestito al meglio ed in totale sicurezza per la salute di chi riceverà poi gli alimenti.

Oggi abbiamo lodevoli iniziative che vanno decisamente a incidere contro lo spreco ma non donano alcunché per i poveri: sono questi i nuovi concorrenti?

Il Banco Alimentare nasce per aiutare chi ha bisogno, nello specifico per sostenere chi è in povertà alimentare. Lo fa da 33 anni innanzitutto recuperando il cibo che altrimenti diventerebbe scarto, spreco. Non nasciamo per lottare contro lo spreco, ma per aiutare evitando lo spreco. Questo era del resto il DNA del “primo sponsor” del Banco Alimentare, il cavalier Fossati, proprietario della Star: vedeva il bisogno e vedeva lo spreco anche nella sua azienda.

Quanto vale in termini economici, se ne esiste una stima, l’opera dei vostri volontari?

Ha presente la pubblicità di una nota carta di credito: “l’opera dei volontari non ha prezzo!”: è impagabile, ma questo, come mi è già capitato di dire, non significa che sia da considerarsi da parte delle istituzioni mano d’opera a costo zero: il volontariato, il terzo settore va in qualche modo “pagato”, attraverso una logica sussidiaria capace di sostenerlo e valorizzarlo. In ogni caso il controvalore di quanto distribuito nel 2021 supera i 358 milioni di euro.

Nel 2021 abbiamo realizzato, con il supporto di ALTIS Università Cattolica del Sacro Cuore, una valutazione d’impatto degli effetti generati dalla nostra organizzazione su tutti gli stakeholder ed è emerso che i volontari sono coloro che hanno sperimentato un cambiamento più significativo perché percepiscono l’importanza della propria attività e le conseguenze positive che genera su ambiente e società. Siamo particolarmente orgogliosi di questo studio che è anche stato premiato da Il Salone della CSR e dell’Innovazione sociale nell’ambito del primo Premio Impatto 2022. 

Si è molto parlato negli ultimi mesi di “sovranità alimentare”, anche generando qualche equivoco sul valore dei termini, che sembra la soluzione a molti mali. Questo aiuto alla difesa dei prodotti Made in Italy risolve o può aiutare a risolvere anche il problema della povertà? 

Sono probabilmente tante e diverse le logiche, le idee e concezioni che sottostanno alla definizione di sovranità alimentare. Non saprei quindi dire se un esito potrebbe essere un aiuto a combattere la povertà. Valorizzare quanto il territorio esprime è certamente positivo ma di per sé non è detto si coniughi meccanicamente con maggiori disponibilità di cibo: sappiamo che il problema non è la quantità, visto che si lotta contro lo spreco, ma le disuguaglianze cresciute e crescenti che devono trovare una risposta nella giustizia che nasce dall’equità e dalla solidarietà. Non scordiamoci che dal 2005 al 2021 le persone in povertà assoluta sono passate da 1.9 milioni a 5.6 milioni e sono cresciute durante quest’ultimo anno.