Le Zes, acronimo di Zone Economiche Speciali, rappresentano la principale opportunità di rilancio economico del Mezzogiorno. Introdotte dal decreto legge del 20 giugno 2017, sono previste per le aree di convergenza con lo scopo di dotare il Sud di vantaggi fiscali e infrastrutture. L’ottica è quella di puntare sull’economia del mare, la cosiddetta “blue economy” che vede come protagonisti i porti e le aree circostanti, nel tentativo di colmare il gap che storicamente divide il territorio italiano. D’altronde, le opportunità portate dalle Zes non sono poche: dotate di una legislazione economica speciale, incentivano le aziende attraverso strumenti di agevolazione fiscale e snellimenti burocratici. Senza contare che la legge di bilancio per il 2021 ha introdotto una riduzione del 50% dell’imposta sul reddito per le imprese che intraprendono una nuova iniziativa economica all’interno delle Zes. Al momento nel nostro Paese le Zone Economiche Speciali sono sei: Calabria, Campania, Ionica (Interregionale Puglia-basilicata), Adriatica (Interregionale Puglia-Molise), Sicilia Orientale e Sicilia Occidentale. Insomma, una bella squadra in campo, peccato che cavilli amministrativi e carenze logistiche rallentino la partita. Senza contare che dei sette commissari previsti per guidare ciascuna zona, ad oggi il Governo ne ha nominati soltanto due. Come se ciò non bastasse, manca una legge organica di regolamentazione: le Zes attualmente sono inserite all’interno dell’ampio contesto legislativo per la crescita economica del Mezzogiorno. La loro istituzione dev’essere richiesta dagli enti territoriali, che si occupano anche della redazione dei Piani di Sviluppo Strategico. Peccato che questi enti al momento vaghino in stato di confusione e incertezza proprio a causa delle lacune normative. Lacune che allontanano anche gli investitori, messi davanti uno scenario poco chiaro e definito, sia dal punto di vista operativo che di regolamentazione. Una situazione sicuramente poco accattivante per gli investimenti.
Ma l’elenco degli impedimenti non finisce qui: ad ostacolare lo sviluppo delle Zes ci pensa anche il quadro logistico del Sud Italia. Molte sono le carenze degli scali portuali e delle infrastrutture di collegamento. Cosa non da poco, se si pensa che uno dei requisiti per l’istituzione della Zes è proprio la solidità del sistema infrastrutturale. Le Zone Economiche Speciali infatti, devono avere caratteristiche precise: situate all’interno dei confini statali con delimitazioni definite, l’area portuale deve essere collegata alla rete transeuropea dei trasporti. Insomma, servirebbe un forte intervento di coordinamento da parte del Governo per scongiurare l’ennesima occasione sprecata. Il che sarebbe un vero peccato, dal momento che da oltre 50 anni le Zes – nate come anomalia amministrativa per accelerare la ripartenza economica – rappresentano in tutto il mondo la forma urbana a diffusione più rapida. La prima Zona Economica Speciale la troviamo in Irlanda, alla fine degli anni Cinquanta: oggi se ne contano più di 4.300 in oltre 130 Paesi, con aziende che danno lavoro ad almeno 40 milioni di persone, e un export di circa 200 miliardi di dollari.
Esempio di Zes perfettamente funzionante è Shenzen, ex villaggio di pescatori, oggi città e hub globale del commercio e della logistica, grazie a 30 anni di Zona Economica Speciale che hanno centuplicato il pil pro capite. E anche l’Europa non è da meno: in Polonia sono 14 le Zes che, istituite nelle regioni meno sviluppate, dal 1994 hanno cambiato il volto del Paese. (margherita ceci)