Il probabile blocco dei cookie di terze parti su Chrome è uno dei prossimi game changer nel panorama dell’advertising online. Il 63,58% degli utenti globali usa Google Chrome per navigare, mentre il restante traffico avviene già su browser come Safari e Firefox che utilizzano sistemi di protezione al tracciamento dei propri utenti.
Il fatto che anche Google compia questo passo determinerà un nuovo standard di mercato e il blocco di Chrome rappresenterebbe di fatto la fine dei cookie di terze parti (mentre i cookie di prima parte continueranno ad esserci).
I cookie di prima parte sono creati e utilizzati solo dal proprietario del sito web che li ha emessi, servono per migliorare l’esperienza dell’utente sul sito stesso e non sono trasferiti a terzi. I cookie di terze parti, invece, sono quelli che permettono di seguire l’utente in siti diversi da quello di navigazione, comprenderne i comportamenti e compiere azioni di retargeting da parte degli inserzionisti pubblicitari. In altre parole, sono i responsabili di quello che accade quando troviamo il nostro schermo inondato di annunci relativi ai costumi di carnevale solo perché ne abbiamo cercato uno spontaneamente mentre navigavamo.
Questo scenario renderà molto più complessa la vendita di pubblicità perché impedirà agli inserzionisti e dunque a chiunque voglia promuoversi online di raccogliere informazioni prima e di intercettare il pubblico più giusto poi. La conseguenza diretta sarà una pubblicità meno efficace e questo potrebbe ridurre le dimensioni complessive di questo settore online. Neppure gli editori riusciranno a uscirne indenni perché la perdita dei cookie renderà loro più difficile monetizzare i propri siti web, non essendo più in grado di vendere pubblicità mirata come accadeva sfruttando i cosiddetti “biscotti” di terze parti.
E dunque? Ciò che ci aspetta, dunque, è uno scenario disastroso in cui ogni impresa sarà costretta a gettare all’aria tutti gli investimenti pubblicitari fino a ora fatti? Forse no, a patto di ricorrere al marketing contestuale, un’opportunità efficace per professionisti, aziende e Pmi che vorranno continuare a essere presenti online. Almeno secondo la piattaforma tecnologica Rankit, la piattaforma fondata nel 2016 da Alessia Salvatori ed Elena Decorato, secondo le quali capire ciò che piace ai consumatori anche senza fare uso dei cookie di terze parti sarà ancora possibile, ma servirà adottare strategie diverse e innovative.
Il contextual marketing infatti è una strategia di marketing che si basa sulla personalizzazione delle esperienze di marketing in base al contesto specifico in cui si trovano i clienti o i potenziali clienti. In pratica, si tratta di fornire messaggi pubblicitari o contenuti promozionali che siano rilevanti e utili al momento giusto e nel luogo giusto.
«Per essere utile alle imprese – spiegano le due imprenditrici – una buona strategia di contextual marketing deve partire dall’analisi dei dati e delle informazioni disponibili sui clienti, per comprendere meglio i loro interessi, le loro necessità e i loro comportamenti di acquisto. In base a queste informazioni, si possono poi creare messaggi e contenuti che siano rilevanti e di valore per i clienti in determinati momenti o contesti».
Il targeting contestuale può essere utilizzato in combinazione con i cookie o, in alcuni casi, può essere utilizzato come alternativa all’utilizzo degli stessi. In particolare, l’eliminazione dei cookie di terze parti, come Google ha pianificato per il 2024, renderà più difficile l’uso delle informazioni sui comportamenti degli utenti per la personalizzazione degli annunci pubblicitari. In questo contesto, il contestuale può diventare un’alternativa valida per le aziende che vogliono continuare a personalizzare le loro campagne pubblicitarie.
«Invece di utilizzare i cookie per raccogliere informazioni sul comportamento degli utenti online, il contestual marketing si concentra sulle informazioni del contesto in cui gli utenti si trovano al momento della visualizzazione degli annunci pubblicitari», sottolineano Alessaia Salvatori ed Elena Decorato. Nel 2022 sono più di 1500 i canali tra community e content creator che Rankit ha messo a disposizione dei propri clienti per promuovere i propri prodotti, servizi, eventi e valori. Attraverso una piattaforma tecnologica sviluppata internamente e che opera nel settore dal 2016, Rankit si occupa di categorizzare i canali iscritti per tema, target, interessi del pubblico e geolocalizzazione. Dopo aver raggiunto il milione e mezzo di fatturato nel 2021, l’obiettivo dell’azienda nei prossimi mesi è puntare all’internazionalizzazione.
Ma come si applica sui social il contextual marketing: cos’è e come si applica sui social? «Utilizzando community di interesse specifico – rispondono le due imprenditrici – in tre passaggi fondamentali: scelta della community (è importante selezionare le community che hanno un pubblico simile o complementare a quello dell’azienda e che possono creare contenuti rilevanti per la specifica nicchia di mercato); creazione di contenuti rilevanti di valore per il loro pubblico che siano contestualmente pertinenti alla campagna promozionale dell’azienda, in diversi formati, come video, post sui social media, foto, recensioni e così via; promozione di prodotti o servizi in contesti rilevanti (come ad esempio durante eventi, in attività sportive o durante attività di svago e intrattenimento). Questo tipo di promozione può essere molto efficace perché consente all’azienda di raggiungere il proprio pubblico in un contesto pertinente e rilevante».
I benefici? «Il contextual marketing sui social media può essere utile per un’azienda che vuole pubblicizzarsi in diversi modi, ad esempio: aumento della rilevanza (questo aumenterà la probabilità che gli utenti si interessino ai contenuti e si connettano con l’azienda); maggiore engagement (utilizzando il contextual marketing, l’azienda può creare contenuti coinvolgenti e di valore per il proprio pubblico di riferimento, che possono essere maggiormente propensi a interagire con l’azienda sui social media, come condividere i contenuti, lasciare commenti o taggare amici); fidelizzazione dei clienti (l’azienda può costruire un’esperienza di brand unica e personalizzata per i propri clienti sui social media, aumentando così la probabilità che essi diventino fedeli alla marca); riduzione dei costi pubblicitari (con un migliore rapporto qualità-prezzo per le campagne pubblicitarie); aumento delle conversioni (l’azienda può creare messaggi pubblicitari mirati e contestualmente pertinenti per il pubblico di riferimento, aumentando così la probabilità di conversione, ovvero di trasformare gli utenti interessati in clienti effettivi)».