Il 2022 è appena iniziato ma molte cose sono già successe. In peggio: venti di guerra, prezzi dell’energia fuori controllo, il genio dell’inflazione uscito dalla lampada, dove non sarà facile farlo rientrare senza correre il rischio recessione. Insomma, gli spazi di manovra per difendere i patrimoni dall’attacco del carovita si sono ristretti molto più rapidamente di quanto pensato dalle banche centrali che, nel giro di pochi mesi, si sono dovute rimangiare le previsioni sull’avanzata dei prezzi in rapida crescita un po’ ovunque, come una sorta di Covid-19 finanziario.
Ma il contagio, a ben vedere, non è eguale per tutti. Era l’opinione del defunto premio Nobel Simon Kuznets che una volta disse: «Esistono quattro tipi di Paesi nel mondo: sviluppati, non sviluppati, Argentina e Giappone». Il giudizio conserva la sua validità. Sia nei confronti dell’Argentina, reduce dall’ennesimo default ed impantanata in un’iperinflazione cronica, che del Giappone da dieci anni alle prese con un’inflazione ostinatamente bassa che ne fa un caso anomalo in un contesto di spinte inflazionistiche record.
Diversi segnali, però, stanno ad indicare che l’anomalia di Tokyo potrebbe essere arrivata al capolinea. Segnali deboli, perché, per ora, l’inflazione rimane sottotono e la Bank of Japan (BoJ) dichiara di voler mantenere una politica monetaria estremamente accomodante per il decimo anno consecutivo. Ma non pochi gestori hanno messo nel mirino la finanza di Tokyo in vista di un cambio di passo della politica economica del Sol Levante, ancora ferma ai precetti dell’Abenomics, ovvero l’iniezione di denaro a pioggia per stimolare l’economia, politica che ha evitato il collasso, favorito i tassi di occupazione più alti del mondo ma addormentato il mercato che affoga nel debito pubblico più alto del mondo. «È sempre più probabile che lo status quo monetario giapponese si riveli presto insostenibile – si legge nel report di Gavekal Research – Gli assets di Tokyo e lo yen potrebbero diventare tra breve assai interessanti».
Merito dell’inflazione “buona” che potrebbe risvegliarsi nei prossimi mesi grazie alla svolta promessa dal premier Kishida che ha promesso misure audaci per ridurre i divari di reddito. Una vera rivoluzione in un Paese dove, scrive il Financial Times, «da un’intera generazione si vive sotto la regola del triplo zero: inflazione zero, tassi di interesse sottozero. Ma anche zero aumenti dei salari». La moderazione salariale nel corso degli anni si è rivelata il tallone d’Achille del sistema: le famiglie hanno progressivamente rinunciato ai consumi, già frenati dall’invecchiamento della popolazione. Urge un cambio di rotta e il governo si è impegnato a garantire sgravi fiscali alle aziende perché quest’anno i salari aumentino almeno del 3 per cento. Mica poco se si pensa che le retribuzioni medie in trent’anni solo salite del 4 per cento. L’aumento del potere d’acquisto dei consumatori, accompagnato da una ripresa economica della Cina, il maggior partner commerciale del Sol Levante, fanno pensare ad un clima favorevole per le azioni giapponesi. Anche perché con l’inizio dei rialzi dei tassi da parte della Fed, il deprezzamento dello yen rispetto al dollaro Usa dovrebbe poi accrescere l’attrattiva delle azioni e degli Etf giapponesi sottovalutati, poiché i beni prodotti dalle maggiori imprese esportatrici diventeranno più competitivi.
Insomma, la crescita dell’inflazione non è necessariamente un male, specie se la macchina dell’industria saprà convincere i risparmiatori del Sol Levante di poter risolvere i problemi più difficili: la penuria di forza lavoro, compensata grazie ai robot (+ 7% la crescita del mercato nel 2021) e le interruzioni delle filiere produttive provocate dal Covid. Un’altra ragione per puntare un chip sul gigante che potrebbe risvegliarsi in primavera.